giovedì 26 aprile 2018

Collina di cipressi.


            

            Sinceramente molto spesso non riuscivi ad essere davvero critico su quanto certe volte poteva giungere d’improvviso alle tue orecchie, forse per colpa dei tuoi semplici tempi di reazione molto riflessivi e normalmente un po’ troppo allentati; così quando l’ingegnere, pur in mezzo a diversi giri di parole che ti avevano confuso scaturendo da persona abituata alla trattativa, aveva poi spiegato in fretta quanto all’incirca ti avrebbe elargito ad ogni ora per lasciarti svolgere quei lavoretti che ti chiedeva in cambio, tu non riuscisti proprio ad essere adeguatamente pronto per una risposta forte e negativa come probabilmente avresti voluto, quella che in fondo forse sarebbe stata giusta, anche se in seguito continuasti senza sosta come ad elaborare incessantemente dentro di te, prendendone coscienza con una vaga rabbia montante poco per volta, che per tua sfortuna su quell’argomento che a te continuava a stare tanto a cuore non c’era oramai assolutamente più niente da discutere.    
Gli dovevi tenere pulite le automobili ogni giorno, tutt’e nove, mentre pensavi che erano assolutamente troppe per una famiglia sola, recandoti col tuo maggiolino scassato da studente fuori sede fin dentro al suo parco che con un enorme muro di pietra appariva circondare, abbracciando tutta la collina, un vero castello medievale perfettamente ristrutturato, frequentandone però soltanto gli ampi scantinati giusto per approvvigionamento d'acqua, e anche di spugne, come pure di stoffe e di varie pelli di daino, e poi anche di pennelli e pure di spazzole, con quanto altro serviva per rimuovere in quel paio d’ore o tre che ti avevano concesso, qualsiasi parvenza di polvere residua da tutte le carrozzerie di quelle loro macchine costose ed eleganti. La moglie, alla mano ma con un accento straniero indecifrabile, si affacciava svogliatamente certe volte da una finestra del castello che dava esattamente sull’elegante cortile dal fondo in ghiaia composto da preziosa pietra tonda ed adibito a parco auto, ma  lo faceva, senza aggiungere nulla di personale o neanche per incoraggiarti nel tuo semplice lavoro, soltanto per darti qualche indicazione ulteriore su ciò in cui dovevi occupare in maggiore misura tutto il tuo tempo di lavoro, indicazioni a sua volta avute forse telefonicamente, visto che suo marito durante l’intera settimana non c’era quasi mai, preso da importanti affari internazionali chissà dove.
Lavoravi da solo per tutto il pomeriggio, ma ti ritenevi alla fine piuttosto fortunato, perché certo nessuno privo di giuste conoscenze che ne certificassero una moralità senza alcuna macchia sarebbe potuto giungere fino là dentro al posto tuo. Coincidenze le tue, con ogni probabilità, anche se portavi avanti la tua occupazione senza ribattere mai niente. C’erano i tre figli che ogni tanto incrociavi da qualche parte lungo l’ampio cortile, di cui soltanto due fortunatamente avevano la patente di guida, e che a te veniva quasi spontaneo chiamare signorini, non conoscendo neppure i loro nomi di battesimo, e poi senza voler fare alcuna facile ironia, ma solo per un senso di rispetto che avevi mutuato in qualche modo da qualche pellicola vista al cinema oppure chissà dove.
La distanza era tangibile, assolutamente incolmabile, come quando uno di quei giorni ti venne incontro l’ingegnere in persona parlando in lingua inglese dentro un telefono senza nessun filo, di cui tu fino ad allora non avevi mai neppure sospettato l’esistenza, e poi ti disse con la mano sopra il ricevitore, che dovevi preparargli al meglio la Ferrari, perché aveva un appuntamento di una certa rilevanza, tanto che immediatamente ti dedicasti subito proprio a quella macchina, con tutti i prodotti lucidanti e profumanti che avevi disponibili. Passarono parecchi mesi così, fino ad arrivare a quell’estate, quando tutti si trasferirono alla loro villa al mare. E poi non ti chiamarono mai più. 

Bruno Magnolfi

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