sabato 28 aprile 2018

Atomismo di Democrito.


          

            Spesso la ragazza si annoiava, seduta ogni giorno al bar del bagno Orchidea, uno stabilimento come alcuni altri appollaiato sulla riva sabbiosa di quel mare calmo e piacevole come sembrava spesso mostrarsi durante quell’estate. Quando al pomeriggio arrivavano diversi ragazzi a ridere e a scherzare forse le cose andavano un po’ meglio anche per lei, che comunque si limitava a guardarli e a sorridere ogni tanto, anche se alla fine tutto quanto durava sempre poco per riuscire davvero nell’impresa disperata di innalzarle quel morale sempre troppo basso, tanto che la sua voglia di divertirsi così sopita nelle sue espressioni, pur manifestata in ognuno di quegli attimi apparenti, sembrava poi svanire presto, come in un lampo. Lei dopo poco tornava difatti come a cercare con lo sguardo qualcosa su quell’orizzonte proprio di fronte, sempre incantata da quel chiarore immobile del sole e anche di quell’aria tersa di brezza semplice e leggera. Lui l’aveva notata già in altre occasioni, anche se non la conosceva, e guardandola ogni volta in gran segreto comprendeva che c’era un magnetismo nei suoi modi che non poteva certo riuscire a disconoscere, anche se la sua timidezza non lo portava assolutamente a farsi avanti.
            Poi lui parve disinteressarsi dei comportamenti di quella enigmatica e ombrosa ragazza per un periodo di tempo lungo forse più di qualche giorno, come se lo stallo verificato già nelle poche volte che loro due si erano incontrati da lontano, gli desse la sicurezza che qualsiasi avvicinamento non potesse portare mai da alcuna parte. Così si sedette quasi svogliatamente, appoggiando il mento quasi imberbe sopra le mani dalle dita ben intrecciate tra di loro, e senza mai guardarla, complice il locale quasi vuoto, disse ad alta voce che avrebbe voluto tanto andarsene via da quelle giornate senza alcun significato, ma lo fece come parlasse praticamente da sé solo. Lei allora sottovoce gli chiese qualcosa, forse soltanto per educazione, e lui tardò tantissimo nella risposta, quasi per mostrare che se parlava lo faceva come attivando una sorta di monologo, non certo per tentare uno stupido abbordaggio nei confronti di una ragazza pur della sua apparente stessa età.
            Si incamminarono insieme, poco dopo, lungo la battigia, scorrendo lentamente a piedi scalzi le bave d’acqua che giungevano da chissà dove sulla sabbia, lasciandosi concedere ad ogni onda pur debole e piccola, quella piacevole sensazione di risacca data dai frammenti di pietra levigata che si muovevano con l’acqua per conto proprio sotto ai loro corpi, come rispondendo alla spiegazione di una filosofia lontana che denotava il mondo fatto tutto di atomi, di particelle minute e tutte identiche. Lui perlopiù parlava di se stesso, evitando di porre a lei delle domande dirette che sarebbero potute risultare anche antipatiche, e lei si agganciava a quei suoi insoliti argomenti elaborando i medesimi pensieri con delle riflessioni adatte, o giustapposte, spesso vicine.  
I loro corpi andavano evidentemente l’uno verso l’altro, era innegabile, anche se i loro differenti pensieri restavano spesso agganciati alla mestizia del perseguire giorni inutili, vuoti di interessi veri, forse troppo lusinghieri soltanto agli innamoramenti usuali e monotoni di qualsiasi estate. Andarono avanti per parecchio tempo comunque, anche oltre la stagione calda, anche parlandosi per lettera, fino a rendersi conto d’improvviso che quei granelli di sabbia così effimeri apprezzati tra le dita dei loro piedi nudi durante quei brevi giorni di vacanza al mare, sarebbero probabilmente rimasti sempre identici, inamovibili davvero, del tutto indifferenti a qualsiasi loro scelta di futuro. Si persero, come era inevitabile, ma soltanto perché incapaci di produrre una colla tale da far tenere i loro pensieri ancora assieme, come la stessa sabbia, primordiale e sciolta.

Bruno Magnolfi

giovedì 26 aprile 2018

Collina di cipressi.


            

            Sinceramente molto spesso non riuscivi ad essere davvero critico su quanto certe volte poteva giungere d’improvviso alle tue orecchie, forse per colpa dei tuoi semplici tempi di reazione molto riflessivi e normalmente un po’ troppo allentati; così quando l’ingegnere, pur in mezzo a diversi giri di parole che ti avevano confuso scaturendo da persona abituata alla trattativa, aveva poi spiegato in fretta quanto all’incirca ti avrebbe elargito ad ogni ora per lasciarti svolgere quei lavoretti che ti chiedeva in cambio, tu non riuscisti proprio ad essere adeguatamente pronto per una risposta forte e negativa come probabilmente avresti voluto, quella che in fondo forse sarebbe stata giusta, anche se in seguito continuasti senza sosta come ad elaborare incessantemente dentro di te, prendendone coscienza con una vaga rabbia montante poco per volta, che per tua sfortuna su quell’argomento che a te continuava a stare tanto a cuore non c’era oramai assolutamente più niente da discutere.    
Gli dovevi tenere pulite le automobili ogni giorno, tutt’e nove, mentre pensavi che erano assolutamente troppe per una famiglia sola, recandoti col tuo maggiolino scassato da studente fuori sede fin dentro al suo parco che con un enorme muro di pietra appariva circondare, abbracciando tutta la collina, un vero castello medievale perfettamente ristrutturato, frequentandone però soltanto gli ampi scantinati giusto per approvvigionamento d'acqua, e anche di spugne, come pure di stoffe e di varie pelli di daino, e poi anche di pennelli e pure di spazzole, con quanto altro serviva per rimuovere in quel paio d’ore o tre che ti avevano concesso, qualsiasi parvenza di polvere residua da tutte le carrozzerie di quelle loro macchine costose ed eleganti. La moglie, alla mano ma con un accento straniero indecifrabile, si affacciava svogliatamente certe volte da una finestra del castello che dava esattamente sull’elegante cortile dal fondo in ghiaia composto da preziosa pietra tonda ed adibito a parco auto, ma  lo faceva, senza aggiungere nulla di personale o neanche per incoraggiarti nel tuo semplice lavoro, soltanto per darti qualche indicazione ulteriore su ciò in cui dovevi occupare in maggiore misura tutto il tuo tempo di lavoro, indicazioni a sua volta avute forse telefonicamente, visto che suo marito durante l’intera settimana non c’era quasi mai, preso da importanti affari internazionali chissà dove.
Lavoravi da solo per tutto il pomeriggio, ma ti ritenevi alla fine piuttosto fortunato, perché certo nessuno privo di giuste conoscenze che ne certificassero una moralità senza alcuna macchia sarebbe potuto giungere fino là dentro al posto tuo. Coincidenze le tue, con ogni probabilità, anche se portavi avanti la tua occupazione senza ribattere mai niente. C’erano i tre figli che ogni tanto incrociavi da qualche parte lungo l’ampio cortile, di cui soltanto due fortunatamente avevano la patente di guida, e che a te veniva quasi spontaneo chiamare signorini, non conoscendo neppure i loro nomi di battesimo, e poi senza voler fare alcuna facile ironia, ma solo per un senso di rispetto che avevi mutuato in qualche modo da qualche pellicola vista al cinema oppure chissà dove.
La distanza era tangibile, assolutamente incolmabile, come quando uno di quei giorni ti venne incontro l’ingegnere in persona parlando in lingua inglese dentro un telefono senza nessun filo, di cui tu fino ad allora non avevi mai neppure sospettato l’esistenza, e poi ti disse con la mano sopra il ricevitore, che dovevi preparargli al meglio la Ferrari, perché aveva un appuntamento di una certa rilevanza, tanto che immediatamente ti dedicasti subito proprio a quella macchina, con tutti i prodotti lucidanti e profumanti che avevi disponibili. Passarono parecchi mesi così, fino ad arrivare a quell’estate, quando tutti si trasferirono alla loro villa al mare. E poi non ti chiamarono mai più. 

Bruno Magnolfi

martedì 24 aprile 2018

Uguale agli altri.




Ho sbagliato penso, anche se già lo avevo immaginato che le cose sarebbero andate a finire in questa maniera. Lui si muove in mezzo ai propri fragili punti di riferimento, anche se è consapevole che sarebbe stato necessario cambiare molti aspetti di tutto il suo ordinario tirare avanti. Ci sono forse gli affetti che formano una pietra miliare in ogni caso. Ma per il resto tutto o quasi sembra spesso senza fondamenta. Non c’è poi nemmeno un errore vero e proprio, se si guardano bene i fatti, eppure diventano basilari nelle sue giornate le piccole dimenticanze, i vacillamenti, le mancate decisioni. Questo è il mio errore più importante, dice adesso a se stesso. 
Certe volte mi pare che qualcosa possa finalmente cambiare, ed allora cerco di mettere tutto l’impegno che posso in quello che faccio. Ma a lui non giunge mai quella piccola spinta fortuita di cui avrebbe tanto necessità, e tutti i suoi tentativi sono destinati a ricadere praticamente nel niente, a lasciare i suoi sforzi privi di qualsiasi risultato. Questo il punto saliente: non riuscire mai ad essere sufficientemente credibile agli occhi degli altri, anche se il suo impegno garantirebbe già molto del suo perseguire alcune strade.
L’errore principale sta tutto dentro di me, dice a volte in modo quasi consolatorio. Lui osserva gli altri, si muove all’interno di perimetri già definiti, e poi improvvisamente cerca il punto di vista che lo porti a vedere le cose in altro modo. Si reca al lavoro, si incontra con i suoi colleghi, cerca di avere insieme a loro un comportamento il più possibile sociale, normalizzante, colmo di cose poco impegnative che lo portino a galleggiare come gli altri.
Sono stufo, dice però all’improvviso. Gli altri lo guardano, pensano tutti che stia scherzando, che non abbia da intavolare cose particolarmente sfuggenti alla comprensione generale, che non sia davvero un altro caso umano da cui iniziare poco per volta a prendere le distanze. Ma lui insiste, dice di essere stanco di questo insulso essere sempre d’accordo su problematiche sostanzialmente insulse, superficiali, prive di significato.
C’è bisogno di allontanarsi per un momento dai luoghi comuni, e guardare le cose con maggiore obiettività. Tutti fanno un passo indietro, non ci si può continuare a confondere con qualcuno che mette in discussione gli stessi fondamentali del nostro stare assieme. Si guardano tra loro, nessuno pensa abbia un piccolo briciolo di ragione, così l’unica strada è tentare di evitarlo, scansare le sue supposizioni, isolarlo con le sue idee strane e malsane, che non porterebbero certo da alcuna parte se mai ci si trovasse a prenderle veramente in considerazione.
Così lui sa di avere sbagliato nuovamente, non c’è alcun dubbio. Dovrà cercare poco per volta di recuperare nei prossimi tempi la credibilità perduta se mai sarà possibile, e sperare che i suoi colleghi, per propria natura simili a lui, siano anche magnanimi nei suoi confronti, tanto da riuscire a comprendere le sue buone ragioni, se non il senso delle sue strane e incomprensibili uscite. Mi impegnerò, studierò, dice lui, fino a diventare proprio come loro, senza più polemiche, senza mai affrontare nel futuro degli argomenti scomodi. Sarò come tutti, una di queste volte, e nessuno avrà più niente da ridire.

Bruno Magnolfi 

lunedì 16 aprile 2018

Perfetta comprensione.




Lei certe volte è sfuggente. Ti guarda, abbozza un timido sorriso, poi torna ad avere la sua espressione di sempre. Tu non riesci a comprendere che cosa le sia passato nella mente in quel preciso momento, perciò tenti una piccola provocazione, una frase impersonale buttata lì, che non significa un bel niente, ma che forse potrebbe anche aprire nuovi argomenti. Lei torna a guardarti, adesso con espressione più pungente, quasi irritata: non ha importanza, rifletti; hai vissuto già almeno cento volte questo stesso momento, si tratta di adottare l’atteggiamento migliore che ti sia riuscito in tutti questi casi, e poi mostrarti docile, incredibilmente capace di una grande comprensione.
Una volta lei ti ha raccontato la sua storia, ma a te è sembrata strana, quasi inventata. Che significato ha, rifletti adesso, che ci sia stato un passato insolito, pieno di imprevisti, se poi tutto ti serve soltanto per fare delle facce strane, delle espressioni che appaiono persino poco comprensibili. Però le chiedi ancora di suo padre, non per una tua semplice curiosità, quanto perché vorresti cercare di mettere in relazione i suoi attuali comportamenti con qualcosa che magari giunge chissà, da parecchio lontano. Lei sorride, poi inizia a dirti che lui lo hai visto generalmente poco quando eri più piccola, perché era sempre in giro per lavoro.
Forse già questo è sufficiente pensi; essersi raccontati che certi malesseri non possono che derivare da qualcun altro, dalle scelte di quello, dai suoi comportamenti, da quella dose di cattiveria innata che hanno sempre avuto nei tuoi confronti tutti coloro che davvero contavano per te. Ma lei invece prosegue, dice che avvertiva da subito tutta la sofferenza della mamma, sempre da sola a prendere le piccole decisioni di ogni giorno. Non è facile crescere in un clima di questo genere, spiega poi con voce morbida, perché qualcosa alla fine ti porti dietro anche in seguito, diventa inevitabile.
Volti lo sguardo da qualche altra parte, perché ti sembra una strategia inventata chissà quando soltanto per darsi un tono, per difendere la propria personalità da una realtà che appare ostile ed a cui si cerca di opporre una grande fragilità neppure desiderata proprio da chi parla. Lei appartiene ad una casistica abbastanza consueta, se non fosse che sembra credere davvero a quanto prosegue ad affermare. La guardi, è tutto chiaro, mostri che hai capito, anche se è del tutto un’altra cosa rispetto a quello che lei sta immaginando.
Naturalmente è impossibile impostare un minimo di sensualità in simili frangenti, tanto vale, se un minimo ne ha voglia, lasciarla andare avanti così per conto proprio, limitandomi ogni tanto ad accennare un elemento affermativo con la testa, fingendo di seguire tutto quello che da lei continua a venir fuori, oppure improvvisamente portando ogni problematica su argomenti del tutto secondari, quasi anticipatori della noia e della stanchezza dilagante.
Lei ad un tratto si rianima, dice che abbiamo parlato anche troppo di se stessa, adesso è il caso di colloquiare con maggiore leggerezza, di stare più tranquilli, dimenticare i problemi forti e pressanti che talvolta ci sovrastano. Sono stanco, dico con sincerità. Affrontiamo questa seconda categoria di pensiero in un’altra occasione: per adesso va bene così, ci siamo capiti.

Bruno Magnolfi   

mercoledì 11 aprile 2018

Tutto quasi normale.




Anna dorme nel suo letto coniugale. Anche Francesco, suo figlio, ha spento la luce nella propria cameretta ed ha preso sonno già da un pezzo. È tardi d’altra parte, sono quasi le due della notte anche se Corrado non è ancora rincasato. C'è silenzio dappertutto, anche in strada mentre lui gira la chiave nel portone condominiale. Sale lentamente le scale, entra nell’appartamento, va diretto in cucina, apre un cassetto e senza produrre nessun rumore impugna un grosso coltello, quello più lungo e appuntito che si ritrova tra le mani. Quando entra nella sua camera da letto la vertigine che lo ha preso poco prima gli ha oramai offuscato qualsiasi pensiero. Corrado nell’oscurità non completa guarda per un istante la forma immobile di sua moglie sotto alle coperte, poi affonda il coltello senza più vedere niente.
Lei urla, Francesco corre e spinge le sue mani su ogni interruttore di luce che riesce a trovare, e quando arriva nella stanza fotografa suo padre mentre sta ancora lì, inebetito, fermo con il coltello in mano a riguardare il sangue di sua moglie che sta inondando il letto e tutto il mondo. Corrono i vicini, qualcuno chiama i soccorsi sanitari, altri le forze della polizia. Corrado lascia forse il coltello nelle mani di suo figlio, poi si lascia andare su una sedia e si piega in due  come una persona disgregata. Portano via sua moglie su di una barella, Francesco va con lei nell’autoambulanza, e Corrado poco dopo lo portano via i carabinieri con le manette ai polsi.
Niente da dire, spiegano i vicini: lui era malato, si sapeva ormai da diverso tempo, però sembrava una famiglia così unita che si fa fatica adesso a comprendere un gesto di quel genere. Restano in casa gli agenti per fare tutti i rilievi che adesso sembrano utili, ma non c'è alcun dubbio, la vicenda si presenta con evidente ed estrema chiarezza, ogni gesto compiuto fortunatamente sembra già scritto e controfirmato sul rapporto finale da redigere. Una tragedia, pensa qualcuno tra coloro che restano sul pianerottolo in pigiama o con indosso la vestaglia: chissà mai cosa passa nella testa delle persone quando la pressione diventa insostenibile.
In ospedale il lavoro appare lungo e paziente, la ferita principale da suturare non è certo uno scherzo, ma la donna, pur avendo perduto molto sangue, non è più in pericolo di vita. Francesco, seduto in mezzo al bianco corridoio, oscilla tra un nervosismo incontenibile e una stanchezza estrema: lo seguono due dottoresse del personale medico, che alla fine gli fanno prendere un semplice tranquillante e lo invitano a sdraiarsi sopra una lettiga.
La notizia corre rapida e qualcuno sembra persino incredulo, però sicuramente dicono tutti che c’è una famiglia ormai spaccata che nessuna volontà potrà più ricucire: indipendentemente da cosa sia stato per loro fino a quel momento, perché adesso è totalmente diverso, cambiato definitivamente. Qualche notiziario del mattino forse riporterà in poche righe l’accaduto, si dice; alcuni cittadini nell’apprendere la cosa si sentiranno quasi persi, impietriti nel cercare le motivazioni di fatti di quel genere, ma per la maggior parte probabilmente tutto sarà quasi normale: in fondo c’era addirittura da aspettarselo.

Bruno Magnolfi

giovedì 5 aprile 2018

Prevenuta.




Ci sono delle volte che Cinzia sì astrae completamente da ciò che la circonda. È come se i suoi pensieri prendessero il sopravvento su tutto il resto, ed il  momentaneo isolamento in cui si rinchiude fosse pari ad un breve piacevole viaggio. Non è così questa mattina purtroppo, o almeno niente del suo comportamento avuto nei confronti di Francesco le sembra adesso paragonabile a quello che le sarebbe piaciuto veramente: l’incontro di poco prima è stato per lei del tutto inaspettato, e la domanda secca che lui le ha posto quando si trovavano nel corridoio è apparsa a Cinzia talmente forte ed improvvisa, nonostante fosse assolutamente legittima, da farla sentire quasi una bambina sciocca ed astiosa che cerca di evitare addirittura i suoi doveri principali. Certo, soltanto ora comprende che sarebbe stato un suo compito preciso ancor prima di farsi porre delle domande, iniziare a dare a lui delle spiegazioni sulla sua condotta, anche perché generalmente non è neppure nel suo carattere comportarsi in quel modo così sgarbato, nascondendosi con falsa indifferenza e cercando addirittura di evitare il dialogo, ma lei negli ultimi giorni si è sentita come caduta in un tranello teso dalla situazione stessa, ed anche adesso che si reputa ancora confusa, non si aspettava certo da Francesco una sua così forte presa di posizione, tanto da renderla vulnerabile persino ad un suo sguardo serio e consapevole.
Quando viene suonata la campanella che indica il termine di tutte le lezioni mattiniere, dopo aver radunato i suoi libri ed una volta uscita dall’aula, Cinzia scorre lentamente lungo il corridoio con la testa piena di tutti questi pensieri, e quindi scende per la grande rampa delle scale ottocentesche, fino a ritrovarsi, quando non c'è oramai quasi più nessuno di tutti i suoi compagni di liceo, nel grande androne dell’ingresso principale. Francesco inaspettatamente invece è proprio lì, davanti a lei, quasi sulla soglia dell’uscita, e senza alcun dubbio sta aspettando proprio lei, lasciandola in questo modo del tutto meravigliata già per la seconda volta in poco più di un’ora. Cinzia gli va incontro quasi senza respirare, lui la guarda avvicinarsi; a lei viene quasi da piangere per la strana situazione in cui si è venuta a trovare stupidamente, ma riesce a trattenere quelle lacrime; ed infine dopo appena un attimo escono assieme, senza essersi ancora detti niente.
Ed in fondo non c'è molto da dire: per lei è stato soltanto essersi resa conto all’improvviso che suo padre intrattiene degli affari poco chiari con il padre di Francesco, che l’ha fatta momentaneamente rifuggire da quei profondi sentimenti che continuano a legarla a quelli di Francesco. Spiegarlo adesso certo non è facile, e forse anche per questo Cinzia non si è neanche provata a farlo, però improvvisamente sa che deve affrontare l’argomento, sa che deve dire a lui con estrema sincerità ciò che davvero le passa nella mente. Francesco l’accompagna con lo sguardo basso senza neppure chiederle niente, e lei guarda avanti a sé mentre si prende ancora un po’ di tempo per riflettere e per misurare le parole; infine dice solamente che le dispiace aver tenuto un comportamento così distaccato nei suoi confronti, soprattutto perché avrebbe voluto tanto che le loro rispettive famiglie non avessero alcuna influenza sul quel rapporto così speciale che c’è tra loro due. A me non interessa niente, dice subito Francesco: so che non voglio perderti, non voglio in nessun modo che a noi due ci accada niente che sia estraneo alle nostre volontà, o che ci ritroviamo all’interno di uno strano percorso che magari non dipende né da me e neanche da te. Hai ragione, dice Cinzia, è assolutamente quello che in fondo penso anche io, e ti chiedo scusa per il mio stupido tentennare, se è questo che ti è apparso; ti voglio bene: ma dammi appena un altro briciolo di tempo, e vedrai che riuscirò del tutto a distaccarmi da ogni mia più piccola prevenzione che forse nei giorni scorsi mi ha sfiorato in questa nostra storia.

Bruno Magnolfi