martedì 27 febbraio 2018

Coraggio, forse.




Non voglio sentirmi soddisfatto, pensa Corrado mentre staziona in ufficio seduto alla sua scrivania, a quel quarto piano del palazzo delle assicurazioni. Nella tasca interna della giacca c'è quella busta, ne sente la presenza continuamente mentre prosegue a lavorare sul suo terminale. Tra poco sarà l’ora di andarsene per gli impiegati come lui, strisciare nella feritoia della macchina lungo il corridoio la propria scheda elettronica, salutare tutti quanti nell’ingresso al piano terra davanti alla portineria con un semplice gesto oppure con un debole sorriso, e poi come ogni giorno uscire subito dall’edificio, con il suo passo tranquillo, quasi rilassato, come se tutto fosse già perfettamente concluso e sistemato. Niente di diverso da sempre, niente da far notare a tutti quei suoi colleghi, a parte naturalmente il Torrini, già pronto da domani, come aveva minacciato, a passare il suo debito nelle mani di certi suoi amici, se non fosse stato bloccato proprio quest’oggi da quel sintetico biglietto scritto di fretta e lasciato sul piano della  sua scrivania: caffè, dopo il lavoro. Che vuole dire tutto per chi sa, ma assolutamente niente per qualcuno che lo avesse letto per puro sbaglio, e che per Corrado in questo momento rappresenta la liberazione, una grande boccata di ossigeno e di fiducia in sé.
I soldi sono nella busta, neanche uno di meno per quel prestito a strozzo di qualche settimana addietro; adesso lui avrà più tempo per rimettersi completamente in carreggiata. Gli scappa quasi da ridere ripensando a quanto è stato facile trovare un accordo col Baronti: è sufficiente chiedere certe volte, gli diceva sua madre quando era ancora piccolo; certo, se già si cerca di immaginare ogni risposta prima di porre qualsiasi pur semplice domanda, non si va mai molto lontano. Cammina svelto adesso sopra al marciapiede per allontanarsi da lì, ma in seguito rallenta, quindi si ferma ad osservare distrattamente qualcosa, poi però riprende anche se con una lentezza maggiorata. Quando entra nel caffè, lo fa senza guardarsi neppure attorno, come tuffandosi di colpo dalla strada oltre quella porta che trova ora molto accogliente.
Quando arriva il Torrini, dopo appena dieci minuti, Corrado sta già seduto al tavolino sul retro del locale, davanti ad una piccola birra che si è fatto servire; non hanno bisogno di usare molte parole loro due, lui guarda l’altro per un attimo, quindi tira fuori la busta bianca e anonima dalla sua giacca. Le banconote vengono contate in fretta, quasi con indifferenza per non destare curiosità, direttamente tra le ginocchia sotto al piano di quel tavolino, ed il Torrini poi fa sparire velocemente tutto il denaro, gli batte piano una mano sopra al braccio, e quindi si alza per andarsene senza aver avuto proprio un bel niente di cui parlare. Corrado allora lo guarda mentre va via e poi si guarda intorno: impossibile ritrovarsi nel futuro in una situazione di quel genere con il suo collega, pensa quasi imbambolato da quei fatti. Infine si alza, paga la sua birra, se ne va anche lui da quel locale, col solo desiderio di raggiungere in fretta la propria abitazione e di non pensare più a niente almeno per tutta quanta la serata.
Ma un piccolo dolore lo prende quando è già in vista del palazzo dove abita: un’uggia, una noia leggera non meglio localizzata che lo accompagna in quegli ultimi passi con qualche fitta leggermente più forte fino al suo appartamento. Entra in casa rispettando un perfetto silenzio, muovendosi peraltro con grande lentezza, quasi con titubanza, poi saluta sua moglie con un gesto privo d’enfasi, e un’espressione seria e di leggera sofferenza, per poi infine dirle soltanto: non sto bene, proprio mentre sente mancare l’appoggio di una gamba, accostandosi perciò con una mano alla parete, subito prima di sedersi. Resta lì, fermo, praticamente immobile mentre Anna continua a chiedergli qualcosa senza ricevere risposta: lui sa che a breve dovrà rendere i soldi anche al Baronti, non può certo interrompere in questo momento il suo lento e graduale ritorno alla normalità, non potendo peraltro rischiare neanche per sogno che arrivi fino ai suoi e a chi lo conosce la notizia terrificante di quei suoi sordidi e meschini affari che ha messo in piedi ultimamente. Magari si sente un po’ da solo in questa fase, forse addirittura oltre come mai si sia sentito fino a questo esatto momento, però sa perfettamente cosa ci sia da fare per lui da ora in avanti, dovendo almeno affrontare tutto quanto ciò che lo aspetta con grande coraggio e convinta determinazione.  

Bruno Magnolfi

mercoledì 21 febbraio 2018

Realistico.




L’impressione iniziale è quella di un vago profilo di ragazza dallo sguardo quasi severo, disincantato, di chi sa piuttosto bene cosa fa e cosa si prepara ad affrontare, senza per questo minimamente abbattersi, senza grandi paure, lasciandosi catturare nell’attimo preciso in cui solleva il suo interesse dai libri sui quali ha appena finito di studiare, ed osserva qualcosa avanti a sé lungo una direzione prospettica lontana, verso il futuro insomma, non quello suo del tutto personale, non verso ciò che magari le potrà succedere direttamente a lei negli anni a venire, ma verso il  futuro pur nebuloso e incerto di tutta la sua generazione.
Un progetto anche troppo ambizioso per un semplice disegno, però sicuramente anche il tema più importante e significativo che si può respirare tra i muri di un edificio scolastico. Cinzia ne ha parlato un pomeriggio con Francesco, e lui sfumando sulla carta qualche tratto incerto con una matita morbida ha cercato di dare un senso abbastanza preciso a quella idea di fondo. Lei non ne è convinta però, e forse neanche lui: troppo semplicistica, le dice mentre sorseggia un’aranciata davanti al tavolo del solito localino nei dintorni del liceo.
Mi pare stupido disegnare una figura che rappresenti tutti, dice lui, però non saprei come superare questo scoglio. Potrebbe essere una persona precisa, una di noi scelta tra le classi e le sezioni, con tanto di nome e cognome, fa lei, così potrebbe rappresentare maggiormente se stessa pur rimanendo una come tutti. E magari trovarne una con evidenti difetti, in modo da non lasciare proprio alcun dubbio, dice lui con ironia. No, non funziona, aggiunge poi; dobbiamo riflettere meglio, travate il dettaglio giusto che riesce ad interpretare il nostro pensiero di fondo, sempre che si voglia intraprendere davvero questo lavoro.
Così, quasi per scherzo, loro due hanno deciso di andare a parlarne con il loro preside, e la mattina seguente mentre come sempre sono a scuola, chiesto naturalmente il permesso agli insegnanti, si sono ritrovati di fronte a quella porta un po’ imperiosa, a cui hanno bussato con una certa titubanza, finendo per essere veramente ricevuti. Il preside del liceo è una persona apparentemente buona, un uomo che ascolta sempre gli altri e difficilmente assume un’espressione contrariata, anche se il suo ruolo sicuramente non è facile. Ha detto che l’idea è senz’altro ottima, sicuramente da sostenere, anche se, ha spiegato: non sono queste le cose che mi aspetto da voi studenti. Ci vorrebbe qualcosa di inclusivo, ha detto alzandosi da dietro la sua scrivania; un gioco, una festa, un concorso di idee, insomma un progetto che coinvolgesse proprio tutti, che facesse sentire ognuno come un importante piccolo ingranaggio nel motore principale della nostra scuola, piuttosto che qualcosa finito e realizzato da due come voi, senz’altro preparati, ma che purtroppo non sono tutti gli altri.
Cinzia e Francesco sono rimasti un attimo in silenzio, quasi perplessi; poi si sono alzati, hanno ringraziato, salutato, ed alla fine sono usciti dall’ufficio. Nel corridoio lei ha detto subito che il loro disegno e soprattutto la loro idea va comunque portata avanti, e lui senza guardarla si è sentito di annuire senza aggiungere nient’altro. Poi sono rientrati ognuno nella propria classe.

Bruno Magnolfi


venerdì 16 febbraio 2018

Possibile sorte.




Non ci devono essere ritardi nella consegna, gli fa lui; e l’altro operaio che fino adesso ha cercato di accampare qualche motivo per prendersi un po’ più di tempo, all’improvviso abbassa la testa e poi ricomincia a lavorare su quell’auto già parzialmente smontata. In carrozzeria è tutta una questione di giusto tempo, né troppo né poco: le macchine non possono stazionare là dentro chissà per quanti giorni, perché il posto all’interno viene subito a mancare, e comunque i tempi fisiologici per quanto riguarda ad esempio la stesura delle vernici con la relativa essiccazione, non possono essere certo ridotti. Andrea sa valutare piuttosto bene questi parametri, ed in questo segue fedelmente il titolare dell’officina che è sempre prudente quando comunica le date di riconsegna delle vetture ai suoi clienti.
Poi saluta i ragazzi e va via come tutti gli altri dipendenti alla fine della loro giornata di lavoro. Ci sta bene là dentro Andrea, non ha dubbi, però da un po’ di tempo sta pensando sempre più spesso di cercare un’altra carrozzeria dove andare a lavorare. Non lo ha detto a nessuno, forse non ci vuole neppure pensare troppo seriamente, però sa che è così, che andrà a finire così, perché non riesce più a lavorare sentendo altrove la propria testa. Lei è troppo vicina, in quell’ufficio di là dalla porta coi vetri, ed Andrea certe volte non riesce quasi a distogliere lo sguardo da Anna, è diventata come una calamita che lo attrae continuamente.
Non c'è niente tra loro, probabilmente non ci potrà mai essere niente, e forse proprio per questo è doveroso per lui dare un taglio a tutte le cose. Ha deciso, non ne parlerà preventivamente con nessuno, prenderà semplicemente degli accordi con qualche altra officina, con la sua esperienza nel settore non ci dovrebbero essere problemi, e poi uno di questi giorni consegnerà una semplice lettera di dimissioni proprio nelle mani di Anna, la loro ragioniera da sempre. Si giustificherà dicendo a tutti che il nuovo titolare gli ha offerto uno stipendio più alto, o delle condizioni di lavoro migliori, oppure che a lui ogni tanto piace cambiare, e nella nuova azienda gli è stato offerto di rivestire il ruolo di capofficina.
Qualcuno avrà da ridire, magari si chiederanno ulteriori spiegazioni, si proverà in ogni modo a farlo tornare sulla sua decisione, ma alla fine tutti si dovranno piegare a quella che evidentemente è proprio la sua volontà, compresa anche Anna, che probabilmente in quel giorno se ne rimarrà nel suo ufficio senza dire un bel niente, comprendendo perfettamente i motivi e la nobiltà di un gesto del genere. Presto si dimenticheranno l’uno dell’altra, e non ci sarà più niente da dire su quell’argomento, e dopo un tempo infinito forse si rincontreranno per caso, ed allora potranno sorridersi con maggiore libertà, e magari decidere di vedersi qualche volta per bere assieme qualcosa dentro un caffè.
E così Andrea potrà ancora dire che ha fatto proprio di tutto per dimenticarla, per non pensare più ad Anna; salvo rendersi conto che forse questo non era del tutto possibile.

Bruno Magnolfi



mercoledì 14 febbraio 2018

Punta di matita.




Lo ha visto andare via, Cinzia. Stava compilando gli ultimi esercizi di matematica nella camera al piano superiore, ed ha gettato distrattamente uno sguardo dalla finestra verso il giardinetto davanti alla sua casa, proprio nell’attimo in cui il signor Renai con la mano sul cancello si è voltato a salutare. Allora lei dopo qualche minuto è scesa, è andata da suo padre che nel frattempo era rientrato nel suo studio, e con tutto il riguardo e la cortesia possibili gli ha chiesto sorridendo una qualche spiegazione. E’ un assicuratore, oltre ad essere il padre di un tuo compagno di liceo, le ha detto corto il signor Baronti; è venuto fino qui soltanto per propormi una nuova polizza. Certe volte il mondo è piccolo, le cose paiono imbrogliarsi in un momento, ma è sempre meglio avere le idee piuttosto chiare su quanto ci succede attorno.   
Francesco a scuola il giorno seguente non ha proprio saputo neanche spiegarselo, però in fondo del mestiere di suo padre lui non conosce praticamente quasi nulla, ha soltanto visto qualche volta da fuori il palazzone delle assicurazioni che si erge lungo il viale, dove sa che lui va a svolgere ogni giorno le sue mansioni di impiegato insieme a chissà quanti altri. Certo, che i loro genitori adesso abbiano cominciato quasi a frequentarsi, anche se soltanto per ragioni sostanzialmente di lavoro, potrebbe essere qualcosa di antipatico, ma nonostante tutto questo secondo lui senz’altro non potrà mai cambiare niente nel loro rapporto e in loro due. Per Cinzia invece qualcosa sembra si sia messo di traverso, anche se non saprebbe spiegare il motivo esatto di questa sensazione negativa che sta provando.
Così poi sono usciti assieme nel pomeriggio, ed hanno fatto il solito giro lungo le strade del centro per parlare e scambiarsi delle idee. Mi pare tutto così strano, ha detto Cinzia ad un certo punto. Se tuo padre lavora dentro ad un palazzo pieno di uffici, non capisco proprio per quale motivo debba andare al domicilio di un cliente. Non lo so, ha risposto Francesco, ma ciò che credo importante è che in fondo tutto questo non riguarda niente di noi due. Ti voglio bene, ha detto allora lei senza guardarlo, per me non sei soltanto un amico o un semplice compagno di liceo. Lui è rimasto in silenzio, ma un’emozione forte e improvvisa lo ha raggiunto agli occhi fino a farlo quasi lacrimare. Lei gli ha preso la mano infilando delicatamente la propria nella sua tasca del giubbotto, Francesco l’ha subito stretta e si è sentito bene, come mai era stato.
Lungo il corso sono entrati in un caffè, si sono seduti ad un piccolo tavolo in disparte e si sono guardati per un po’. Lui ha tirato fuori una matita, e su un tagliolino di carta ha sbozzato rapidamente l’espressione di lei, i suoi occhi, il suo sorriso. Avevano voglia di abbracciarsi, ma a nessuno dei due veniva in mente di volersi spingere con rapidità troppo in avanti. Così hanno bevuto semplicemente un succo di frutta a mezzo, poi sono usciti e Francesco ha deciso di riaccompagnarla fino davanti alla sua abitazione. Potremmo lavorare insieme ad un grande disegno, le ha detto d’improvviso, qualcosa da appendere in seguito magari nel corridoio principale della scuola se il preside ce lo permette, e a lei l’idea è subito piaciuta molto. Perciò si sono dati appuntamento per il giorno seguente, portando già le proprie idee ed anche i progetti da confrontare, ancora prima dell’inizio della realizzazione vera e propria dei bozzetti.

Bruno Magnolfi  

giovedì 8 febbraio 2018

Verso casa.




Anna cammina per strada, è da sola, non ha nessun posto preciso verso dove dirigersi, però prosegue in avanti, un passo dietro l’altro, con la mente sufficientemente leggera. Va tutto bene, è un bel pomeriggio, Andrea stamani con una scusa le è andato vicino, le ha soltanto sorriso, ma questo gesto è stato più che sufficiente per farle apprezzare il senso migliore della sua giornata. Non ci sono grandi obiettivi da raggiungere, non c'è da immaginarsi chissà quali sorprese per il futuro, le cose vanno per il loro corso così, senza grossi tentativi da fare.
Sua madre tanti anni fa le aveva detto che ogni giornata va sempre presa con leggerezza, senza mai affrontare troppo seriamente i piccoli fatti che possono accadere. Anche di fronte alle difficoltà bisogna pensare che tutto prima o dopo si sistema, le spiegava certe volte, basta avere una buona dose di pazienza. Lei adesso però non sta più bene come una volta, e non ha semplicemente un piccolo problema da superare: sente ogni tanto un malessere dentro la testa che giorno dopo giorno la sta come consumando, senza che riesca a fare praticamente nulla per alleviare quel piccolo dolore che prova. Non è neppure Andrea il suo problema, niente affatto; piuttosto è quello che lui, neppure volendo, solamente con qualche sguardo e qualche parola dolce detta ogni tanto di nascosto sul posto di lavoro dove si incrociano, le ha fatto facilmente comprendere, senza bisogno di altro.
Con suo marito le cose non vanno, questo è il punto essenziale: loro sono ormai troppo distanti, non c’è più affiatamento, praticamente nessun momento di intimità. La loro è ancora una famiglia, ma lo è soltanto di facciata, anche se soprattutto c’è il loro figlio da crescere, ma per il resto si è formata poco per volta una vera distanza tra lei e Corrado, qualcosa che per molto tempo Anna non ha voluto neanche vedere, e che in questo momento le appare invece persino troppo evidente. Comunque non vanno prese decisioni affrettate, le cose poco per volta troveranno una propria direzione, questo le suggerirebbe sua madre, e lei è disposta assolutamente a seguire questo consiglio, anche se la sua serenità è quasi compromessa.
Chissà quante donne vivono le sue stesse difficoltà, chissà in quante famiglie persiste una condizione del tutto simile alla sua. Lei prosegue a camminare, a guardare dritto avanti a sé, quasi indifferente a tutti coloro che le passano vicino. Potrebbe esserci addirittura Andrea dietro le sue spalle, oppure persino suo marito, tanto si sente a disagio: si trova sempre più smarrita e in difficoltà se solo prova a pensare a cose del genere; addirittura le sembra che le sue stesse caviglie non siano più capaci di tenerla bene sui piedi, perciò sente la necessità di fermarsi, di riprendersi almeno per un po’, anche se tutto appare così difficile. Vacilla, alla fine, si blocca un momento come per aver dimenticato qualcosa, poi riprende a camminare, ma più lentamente.
La solitudine, ecco cosa sente adesso nei propri piedi, anche se a lei non riesce facile allontanarsi da tutti: si è isolata, non riesce a parlare con nessuno di queste sue cose, così può soltanto permettersi di pensarle. Infine torna a fermarsi, si appoggia per un attimo al muro, si sente sfiancata, si tocca con la mano una caviglia ed infine con grande coraggio si volta: no, non c'è nessuno dietro di lei, nessuno che la possa giudicare per quei suoi insoliti comportamenti. Ed allora può tornarsene a casa adesso, alla fine qualche respiro più profondo l’ha fatto, ha provato senz’altro a riflettere meglio, è riuscita a capire magari qualcosa di più in tutto quanto, e da questo momento perciò può riprendere ad essere quella di sempre.

Bruno Magnolfi

venerdì 2 febbraio 2018

Malesseri identici.



Non mi sono mai posta troppe domande. Generalmente mi rannicchio in un angolo, socchiudo lentamente gli occhi, e poi me ne sto lì a pensare soltanto alle cose che mi fanno piacere. Qualcuno in passato mi ha detto anche che appaio spesso indifferente a tutto, però io credo che la mia sia soltanto una semplice difesa. La vicina di casa, mentre le due donne rimangono ferme una di fronte all’altra sul piccolo pianerottolo, l’osserva a lungo, quasi senza riuscire a trovare le parole per interromperla. Agli inizi le sembrava praticamente impossibile che una persona così riservata come la signora Anna improvvisamente si mettesse a farle delle confidenze di quel genere, proprio a lei che in tutto quel tempo da quando abitano in quella loro palazzina si è permessa di  scambiare appena qualche saluto frettoloso con qualcuno tra tutti gli altri condomini, o al massimo si è lasciata andare con i suoi maggiori conoscenti a qualche breve chiacchierata sulla manutenzione del loro caseggiato e magari sui piccoli problemi di normale convivenza tra le mura comuni. Ma adesso prova dentro di sé quasi un piccolo fastidio.
La capisco, le confessa però alla fine della sua riflessione: anche per me è un po’ così; tengo tutto dentro di me senza far comprendere a nessuno i malesseri che posso provare. In fondo però siamo donne, dobbiamo sempre cercare di tenersi da parte, per poi magari fare noi proprio le scelte più giuste quando alla fine queste contano davvero. Anna ride, non era certo questo l’argomento che aveva affrontato, ma in fondo fa lo stesso, le sue opinioni le ha ben chiare dentro di sé, e poi ha già fatto uno strappo alle sue regole soffermandosi a parlare di se stessa con questa vicina, meglio adesso non rivelarle troppe cose riguardo le sue opinioni, a scanso di equivoci. Vede, le dice ancora: io sono ottimista; credo sempre che tutto vada con certezza a finire nella maniera migliore, proprio come nelle favole per i bambini.
Si, ho capito, ho capito bene, fa l’altra; comunque adesso è meglio che vada perché ho ancora un sacco di cose da fare. Le due si salutano come sempre hanno fatto in tutto quel tempo incontrandosi, ed ognuna fatte le proprie rampe di scala rientra nel suo appartamento. Nella sua cameretta c'è Francesco che studia, Anna si muove piano nelle stanze di casa per non disturbarlo facendo rumore, anche se lui ad un tratto si affaccia alla porta soltanto per osservarla in silenzio con un sorriso, come non faceva oramai da un bel po’ di tempo. Lei va subito verso di lui e se lo abbraccia, senza dire niente: in fondo è un gesto semplice questo, però spesso assume più significati di qualsiasi lungo discorso. Poi ognuno torna alle proprie occupazioni.
Anna adesso si sente una sciocca per aver parlato delle sue intimità con quella vicina, ma aveva assolutamente bisogno di farlo, aveva proprio voglia di dire a qualcuno qualcosa che non aveva mai detto ad anima viva. Forse dentro di sé prova davvero un senso di disagio, magari c'è qualcosa che non va di cui non si è ancora del tutto resa conto. Però parlarne con qualcuno che appena conosci è perfetto, riflette con calma: ti aiuta a comprendere che anche tu sei una persona qualsiasi, una come tante, semplicemente una pedina di questa grande scacchiera, e molto probabilmente ogni malessere vero o presunto che puoi provare è proprio uguale a quello di tutti.


Bruno Magnolfi