martedì 31 ottobre 2017

Uomo precoce.

            

A lui da piccolo certe volte gli bastava anche soltanto starsene seduto davanti al tavolo della cucina, oppure rimanere in piedi lì davanti, per poi girare lentamente attorno al piano orizzontale, giusto per arrivare là sopra con gli occhi e quando serviva con le mani, e disporre così su quella superficie gli oggetti che conosceva meglio o che aveva più facilmente a disposizione in casa, sistemandoli in buffe combinazioni di cui conosceva il senso solo lui, spesso forse in modo del tutto casuale, oppure secondo degli accostamenti che forse aveva visto già da qualche parte, inventandosi comunque in questo modo dei giochi e dei divertimenti tutti inediti, che duravano spesso anche a lungo, cambiando ogni tanto posizione a qualche pezzo e modificando in qualche modo il panorama, restando poi ad osservare tutto quanto da diverse angolazioni, fino a vederci là in mezzo chissà quali operazioni insolite, chissà quali prospettive. Francesco era fatto in questo modo quando aveva cinque anni, e sua mamma ogni tanto lo guardava e sorrideva, mentre suo padre in quei lunghi pomeriggi in casa non c’era quasi mai.
Ma guarda che cosa sei riuscito a mettere su oggi, gli diceva Anna con la sua voce molto pacata e anche rassicurante, chiedendogli con garbo che cosa rappresentasse quella tale messinscena; e Francesco qualche volta se ne usciva fuori con delle immagini che indubbiamente vedeva solo lui: una strada, diceva; oppure: il mare; o anche: tutti i parenti di una famiglia grande. Impossibile ribattere qualcosa, la sua fantasia probabilmente lo faceva arrivare in luoghi impossibili da raggiungere per gli altri. Tutto poi perdeva velocemente di consistenza, e in un attimo, una volta stufo delle disposizioni di quegli oggetti già adoprati, Francesco si interessava d’altro, lasciando tutto quanto al suo destino.
Sua mamma in quegli anni si sforzava di comprendere cosa mai volesse esprimere quel suo bambino, oppure se dietro quei suoi comportamenti ci potesse forse essere un piccolo disagio di chissà quale natura, ma lui appariva sempre tranquillo, si comportava ogni volta con normalità, e se forse qualche volta era leggermente taciturno anche con i suoi piccoli amici della scuola materna, tutto questo secondo Anna faceva soltanto parte del suo carattere, niente di più. Lei quando poteva lo portava sempre con sé fuori da casa, in luoghi pubblici: ai giardini, a passeggiare lungo le strade del quartiere, per negozi, al supermercato, e certe volte gli faceva compiere qualche piccola azione anche da solo: recarsi da un vicino, oppure in un negozio non troppo lontano dalla loro casa, e poi anche rispondere al telefono ed aprire la porta di casa quando qualcuno veniva  a suonare il campanello, proprio per dargli sempre dei compiti, impegnarlo, stimolare la sua personalità, per vedere quali fossero mai le sue reazioni, anche se lui si dimostrava sempre assolutamente all’altezza e capace di svolgere ogni cosa, senza mai manifestare alcun problema, mostrando intelligenza, attenzione e soprattutto grande sensibilità.
Poi smise di fare tutto, da un giorno all’altro, ed anche riuscendo a mostrare un comportamento in qualche modo simile a prima, si vedeva che qualcosa dentro di lui stava cambiando, ed anche un po’ troppo velocemente, quasi per farne precocemente proprio un uomo.


Bruno Magnolfi

sabato 28 ottobre 2017

Sentieri quotidiani.

            
Davanti ad una buona tazza di caffè, ad un tavolo appartato, dentro un piccolo locale dove a quest’ora regna la calma, certe volte la lingua sembra sciogliersi come per magia, ed anche tutto quello che sembrava quasi destinato a rimanere segreto, al contrario viene fuori così, spontaneamente, in una maniera del tutto naturale. Chiara, dice Anna alla fine dei suoi distinguo, guardandola con un sorriso leggermente impacciato, forse soltanto perché non è certo abituata a parlare di cose di quel genere. Però si fa coraggio, prende fiato, superando di slancio anche la propria timidezza: questo ragazzo, spiega inserendo qualche pausa; Andrea, come si chiama; mi saluta ogni giorno con un’espressione dolce e particolare, con il sorriso di chi è davvero contento di vedermi, senza insistenze, forse senza alcuno scopo, arrivando perfino ad attendere qualche volta il momento esatto in cui termino il mio orario di lavoro per incrociarmi casualmente sulla porta della carrozzeria, e potermi dire in questo modo sottovoce: ci vediamo domani, quasi dandomi un appuntamento, a me che in quella piccola azienda ci lavoro da tanti anni; come fosse un appuntamento soltanto per noi due.
Chiara sorseggia dalla sua tazza, e forse un moto di sottile invidia la coglie, perciò quando chiede ad Anna: ma tu pensi che tutto questo possa avere un seguito, probabilmente spera dentro se stessa che le cose si concludano in fretta, mostrando soltanto il volto di una ragazzata, di qualcosa senza importanza, e soprattutto che lascino Anna esattamente la medesima di come è sempre stata fino ad oggi. Dentro di lei sente il pungolo di qualcosa nella sua amica che forse potrebbe sfuggirle di mano, una realtà nuova che adesso la coglie impreparata, finendo per mettere in difficoltà persino lei stessa, anche se cerca di frenare quel moto, riflettendo che il suo atteggiamento non dovrebbe mai essere così egoistico.
Non lo so, fa lei; improvvisamente mi sento un’altra, piena di energia, serena, anche curiosa, e forse soltanto perché il sorriso di Andrea è qualcosa che mi fa stare bene, come se tutte le cose che mi trovo ad affrontare durante la giornata diventassero improvvisamente più leggere e anche più semplici. Ma è soltanto una simpatia, anche Andrea sa perfettamente che non ci potrebbe mai essere qualcosa più di questo. Allora non ha senso incoraggiarlo, dice Chiara. Non sto incoraggiando nessuno, ribatte Anna, però credo sarebbe molto peggio se la nostra reciproca simpatia dovesse restare nell’ombra senza alcuna manifestazione. Chiara sente perfettamente di essere una zavorra nelle parole di Anna, però in casi come questo è convinta che qualcuno ci deve essere a far tornare le persone con i piedi sulla terra.
Poi si alzano, le due amiche, ci sono tante altre cose da affrontare, e poi si è fatto tardi, non è proprio il caso di perdersi in sciocchezze per l’intero pomeriggio. Si salutano perciò, esattamente come hanno fatto sempre, ma Anna adesso si sente maggiormente sollevata per aver messo al corrente almeno lei. Si abbracciano velocemente sul marciapiede, sentendo forse di essere vicine a qualcosa di importante, ma poi ognuna se ne va dietro ai propri piccoli problemi, andando a ripercorrere con determinazione magari accentuata i sentieri di ogni giorno.


Bruno Magnolfi

lunedì 23 ottobre 2017

Vittoria prevista.

            

Ci sono circa venti centimetri tra il piatto e l’insalatiera, mentre il bicchiere sta a circa due dita dalla piccola cesta con il pane già affettato. Sopra la tovaglia dai colori tenui tutto sembra quasi perfetto, o perlomeno pare che un ordine dato da alcune consuetudini ormai consolidate fornisca di senso anche una cena qualsiasi come questa, dove nessuna delle tre persone che compongono la famiglia, sembra abbia neppure troppa voglia di parlare con gli altri, limitandosi ognuna a guardare soltanto il proprio piatto e poco altro. Tra i piccoli tintinnii delle  stoviglie ed il movimento calmo e garbato degli oggetti che stanno sopra la tavola, la scura bottiglia di vino, la bianca saliera, il vassoio lucido, la zuppiera corposa, si ravvedono quasi le mosse di una lenta partita agli scacchi, dove ogni pezzo assume magicamente un proprio significato, sicuramente anche dettato ogni volta dalla persona che lo muove di fatto o che comunque in quel momento lo sta adoperando.
La radio in sottofondo trasmette il notiziario, un leggero monotono parlare, quasi un brusio che nasconde dietro un mucchio di parole standard i piccoli e i grandi fatti del giorno degni di un qualche rilievo. Come sono andate le cose a scuola oggi, chiede a un certo punto Corrado a suo figlio, che lo guarda per un attimo, muove la forchetta, poi gli risponde: bene, provando forse un leggero moto di fastidio per quella pur debole ingerenza nei propri segreti e nei suoi soffici pensieri. Anna sorride guardandolo: in fondo non gli ha risposto niente pensa, ma forse era lui fin dall’inizio che voleva soltanto essere rassicurato di qualcosa, e non di avere una cognizione qualsiasi di come andassero davvero i suoi studi scolastici. Poi si versa l’acqua nel bicchiere, quasi una mossa del cavallo che vada ad insidiare leggermente il pane.
Volete ancora della verdura, dice la mamma meccanicamente sollevandosi dalla sua sedia, come ad incoraggiare, con il suo movimento già proteso verso la pignatta all’altro capo del tavolo, una risposta positiva. Corrado dice di no con la testa mentre porta alla bocca un sorso di vino dal suo bicchiere, ed anche Francesco fa un piccolo gesto di diniego, ed è così che si cede spazio ad un vassoio pieno di frutta che Anna, spostatasi presso il piano della cucina, porta subito in tavola tenendolo con le due mani, e sistemando con rapida mossa l’uva, i mandarini e le pere al posto di un grosso piatto di portata ai margini della tovaglia.
Le briciole di pane e le bucce della frutta lasciano comunque dietro di loro un senso di vissuto, quasi i segni di una nuova ma eterna piccola guerra portata a termine come di consueto sopra questo piccolo campo di battaglia. Un odore di vittoria leggero ed essenziale sembra quasi aleggiare nella stanza dei combattimenti, anche se nessuno potrebbe dire con precisione come siano andate realmente le cose, quali possono essere state le mosse e le contromosse dei contendenti. Ci saranno stati dei feriti e probabilmente anche delle perdite, questo è innegabile, ma in ogni caso il punto principale è stato come sempre quello di non mostrare da parte di tutti alcuna tendenza alla codardia, e quello soprattutto di andare avanti ciascuno sempre con la testa alta, portando la propria bandiera verso gli onori che fuori di dubbio si merita, esattamente come con normalità succede ogni giorno.


Bruno Magnolfi

giovedì 19 ottobre 2017

Favori amichevoli.

          

Fuori dal bar le cose sembrano scivolare tranquille. Lui si è seduto come sempre, si è fatto dare una birra, ha atteso con pazienza l’ora dell’appuntamento senza neppure guardarsi troppo attorno. Adesso non riesce neppure a rendersi conto come possa aver fatto ad infilarsi in una situazione del genere, ma è cosciente di passare attraverso momenti in cui si sente ancora una persona sicura di sé, fino a giungere ad altri in cui viene praticamente sfiorato dai brividi di una certa disperazione. Perciò si fa forza. Non gli sono mai piaciuti i debiti, anche se qualcuno dei suoi amici in qualche occasione se ne è fatto quasi un vanto; però adesso gettare via i suoi soldi messi da parte con grande sacrificio gli pare una cosa praticamente contro natura. Perciò quando arriva il Màghero a riscuotere la rata settimanale del suo debito di gioco, Corrado prova quasi un moto di ripulsa verso di lui.
Ehi, gli fa l’altro appena seduto: non voglio neppure contarli, lo sai che mi fido di te, gli dice prendendo la busta e parlando sottovoce pur con una certa spavalderia. Piuttosto dimmi quando ci possiamo rivedere, che con te è sempre difficile incontrarsi. Si, fa lui dopo una pausa, ma stavolta mi devi concedere qualche giorno di più, dice Corrado, altrimenti non riesco proprio a mettere insieme la somma. Lo sai che questi discorsi non mi piacciono per niente, fa l’altro, non vorrai che i soldi debba venire a chiederli a tua moglie, no? Cosa c’entra mia moglie, dice Corrado mentre si netta con una mano la fronte sudata; tutto questo è un discorso che deve sempre rimanere tra me e te, come d’accordo. Lo sai che non voglio farti del male, fa l’altro, però i patti sono precisi, i miei soldi devi restituirli con una certa cadenza, non voglio neppure tornarci più su questo argomento.
Hai ragione, dice Corrado, in qualche modo mi arrangerò, e ti darò tutto quello che devi avere, non c’è bisogno di farne una storia, soltanto se ci rivedessimo tra due settimane non rischieresti di prendere soltanto una parte della tua somma, tutto qua. L’altro si guarda per un attimo attorno, sorride come per trattare la faccenda con camuffata leggerezza, infine dice: senti, va bene, voglio fare uno strappo a tutte le regole, soltanto perché sei tu, non lo farei mai con nessun altro, però non mi costringere a diventare cattivo, perché ho tutti i sistemi per farti rimpiangere la fiducia che in questo momento ti sto accordando.
Certo, dice Corrado, non preoccuparti, devo soltanto sistemare qualcosa, nient’altro, in questo modo riuscirò a darti tutti i tuoi soldi e la faccenda sarà sistemata una volta per sempre. L’altro sorride, gli dà una piccola pacca sopra una spalla: vediamoci di lunedì, gli dice, e la prossima settimana così hai tutto il tempo di fare le tue cose. Benissimo, dice Corrado mentre l’altro va via, poi si guarda attorno con un improvviso senso di disperazione, infine paga velocemente la sua bevuta e se ne esce da lì. Qualcosa mi inventerò, pensa ormai sulla strada; in fondo ho ancora delle amicizie che posso vantare, non mi negheranno certo un favore.

Bruno Magnolfi 


venerdì 13 ottobre 2017

Cavalli imprevedibili.

           

Anna sono qua, ha detto la sua amica durante il pomeriggio della scorsa domenica, parlando nel citofono per invitarla a scendere come già d’accordo, restando poi ad aspettare davanti al suo portone condominiale proprio a quell’ora pattuita, piuttosto che salire in quell’appartamento dove quando c'è lui in giro riesce sempre a farle provare un sicuro senso di disagio. Dopo un attimo difatti Anna è scesa, così le due amiche si sono salutate con qualche parola scherzosa e poi si sono avviate verso il cinema per assistere al film che da giorni avevano scelto di vedere.
Suo figlio è rimasto in casa nella sua cameretta come sempre, probabilmente a leggere qualcuno dei suoi amati libri, e Corrado quasi sdraiato sopra al divano con la televisione sintonizzata su un canale sportivo. Forse è il peggiore giorno di ogni settimana quello festivo, quando la mancanza di orari più precisi e di impegni lavorativi e scolastici porta la famiglia allo strascinamento insulso delle ore.
Francesco ha preso uno dei suoi fogli e la matita, ed è partito con tratti leggeri a disegnare un volto, senza sapere chi dovesse essere. Bocca, profilo del naso, gli occhi; poi si è fermato. L’espressione che subito trapela da quel foglio sembra corrucciata, ombrosa, quasi triste. Non c’è la sua precisa volontà di dare a quel viso queste esatte connotazioni, eppure escono fuori in modo quasi automatico, come se fosse questa la realtà che lui si immagina quando disegna, oppure quella che semplicemente vede quotidianamente attorno a sé.
Neanche a lui piace la domenica, anche se avere molto tempo libero è qualcosa che quasi lo intriga, permettendogli di compiere giri di pensiero che normalmente non riesce proprio ad affrontare. Poi sente suo padre che lo chiama dall’altra stanza, così Francesco si alza dalla sedia, si affaccia alla porta, si ferma appena un attimo per comprendere bene quello che in fondo conosce già dentro di sé: la proposta è quella di uscire per un giro in macchina, annusare la giornata da qualche angolazione che Corrado conosce meglio, ed infine ritornare a casa nel tardo pomeriggio, quasi come due amici che se la siano spassata. 
Va bene, dice subito, due minuti e sono pronto. Non gli piace andare in giro con suo padre, ma non vuole neanche creare una rottura che farebbe soltanto peggiorare le cose nella sua famiglia. Si sacrifica, magari soltanto per renderlo contento, o solo per avvallare un’idea forse anche un po’ sbagliata che Corrado ha di suo figlio: uno senza amici, ombroso, perso dietro a riflessioni incomprensibili che gli scaturiscono probabilmente dalla lettura di libri strani e complicati che sua madre tollera in modo incomprensibile. Niente sport, nessuna passione, né amici né ragazze, lo sguardo sempre basso oppure perso chissà dove.
Corrado mette in moto la sua macchina, Francesco si sistema sul sedile senza dire niente. Magari potremo andarcene a vedere le corse dei cavalli, dice col tono di chi comunque ha già deciso. Francesco annuisce, in fondo gli piace l’idea: l’ippodromo è un luogo affascinante, pieno di gente particolare, ed i cavalli da corsa sono animali stupendi persino se ammirati da lontano. Così entrano ai cancelli e vanno a sedersi sulla tribuna coperta, e tutto sembra andare bene, anche se dopo un po’ suo padre saluta nervosamente qualcuno che conosce. Poi si alza, dice che torna fra un momento, e così si perde in mezzo a tutta quella gente in perenne movimento. Quando torna però sembra peraltro più tranquillo: suo figlio vorrebbe forse chiedergli qualcosa, ma si trattiene, probabilmente perché non hanno alcuna importanza le sue presunte considerazioni: la giornata in fondo scorre bene, le corse dei cavalli vanno avanti, la gente parla e sembra divertirsi, tutto è a posto insomma: non c’è da preoccuparsi proprio di niente.


Bruno Magnolfi 

lunedì 9 ottobre 2017

Natalità.

            

Prendi la mia mano, aveva detto Anna. E lui, inizialmente titubante, l’aveva infine stretta tra le sue pur con una certa delicatezza ed attenzione, pensando comunque di dover trasferire a lei qualcosa della sua forza, della sua determinazione, anche se subito era stato raggiunto tramite quelle dita tese come da una scarica elettrica, e si era immediatamente reso conto che in tutta la faccenda era proprio lui l’anello debole della catena, quello meno tenace, quello più lontano dall’idea fondamentale, tanto che si era ritrovato in un attimo quasi ancorato a quella stretta, provando davvero per la prima volta tutta l’importanza del momento. L’infermiera poi si era affacciata già due volte nella stanza per rendersi conto del tempo che ancora le occorreva a quella paziente frettolosa, ma Corrado intanto sudava, si sentiva teso, ed adesso le aveva detto senza mezzi termini che Anna non ce la faceva più a proseguire con quella respirazione come le era stato spiegato, e che si avvicinava velocemente quel momento, perché ci siamo, ci siamo, aveva quasi urlato, e così quasi per dargli retta in due del personale l’avevano trasferita poco dopo in sala parto con la sedia sulle ruote. Lei vuole assistere, gli avevano chiesto duro, senza perifrasi, e lui si era sentito quasi un vigliacco nel dover dare una risposta negativa, per questo aveva detto di sì, quasi senza una riflessione seria, ma pensando solo a se stesso e a poco d’altro.
Una volta dentro invece aveva colto velocemente tutta l’importanza di quella scelta, e subito aveva cercato lo sguardo della sua Anna accanto a lui, anche se lei già non riusciva più a sentire e a guardare niente intorno a sé. Urlava invece, strozzando i suoi gemiti per le doglie, respirando a grandi boccate soltanto affannose, coi pugni stretti intorno a ciò che per lunga esperienza le avevano dato da stringere, una volta sistemata sopra al lettino. Continuava a guardarla Corrado, non sapendo e potendo fare altro, sentendosi però coinvolto, vicino a qualcosa che non avrebbe mai dimenticato, mentre lei continuava a spingere proprio come le dicevano di fare, quando tutto poi avveniva in un attimo incredibile, e non importava già più niente di quelle piccole preoccupazioni che c’erano state fino a un’ora prima, e la corsa con la macchina, il parcheggio poco consono, le sue scarpe che avevano pestato qualcosa che proprio non doveva esserci, quasi un portafortuna però.
Adesso era lì quel fagotto rosa, quella piccola vita che scalciava già, e che chiedeva attenzione, protezione, cure, tutto ciò che ci voleva per portarsi avanti da ora in poi, giorno dopo giorno. Corrado si sentiva provato, stremato, stanchissimo, e gli pareva impossibile che potesse accadere una cosa così grande in così poco tempo, senza una vera preparazione emotiva, senza essere riuscito a immaginarsi davvero quel giorno soltanto il giorno prima, ed adesso non sapeva più che cosa dire, né cosa pensare, dove rivolgersi, a chi, immedesimandosi in un nulla di fronte a quella donna che in quel momento diventava meravigliosamente mamma.  
Anna, aveva detto poi Corrado riprendendole la mano, e la commozione con naturalezza aveva fatto il resto, che non aveva bisogno di parole, di espressioni, di gesti, solo di sguardi lacrimosi e sinceri, e di nient’altro.


Bruno Magnolfi

sabato 7 ottobre 2017

Amico sconosciuto.

            

Ehi, gli fa uno che lui neppure conosce toccandogli leggermente una spalla mentre sta seduto a bere qualcosa nella solita bettola di ogni sera. Lo so chi sei, ti avrei riconosciuto tra mille, fa quello, però guardami bene e forse anche tu puoi ricordarti di me. Lui si volta, guarda l’altro in faccia con attenzione, poi dice che gli pare qualcosa, ma non saprebbe proprio dire dove e perché. Diciamo che sono passati circa dieci anni, fa l’altro mentre si siede al bancone nel posto libero accanto. Eri magari uno della commissione che venne in agenzia per l’inchiesta interna, fa lui. Bravo, fa l’altro, sono Massimo, ci vedemmo di sfuggita diverse volte a quell’epoca, poi però ho cambiato mestiere, non me la sentivo più di fare la carogna con gli altri per uno stipendio da fame. Io sono Corrado, fa lui, ma a quell’epoca stavi con Righetti quindi. Certo, dice l’altro, ma secondo me non era una brava persona, riusciva sempre a pensare soltanto ai suoi affari. Ma tu lavori ancora da quelle parti, immagino. Si, certo, fa lui, però Righetti in quel periodo mi piaceva, era uno di quelli che ci sapevano fare.
Si, è vero, pure io non avevo niente da dire su di lui, fa l’altro, solo che certe volte le cose prendono una piega diversa da quella che si vorrebbe; poi però personalmente ho avuto la fortuna di trovare una ragazza che mi ha fatto girare la testa, e siccome la sua famiglia era piena di soldi ho potuto uscire tranquillamente da quell’ambiente, ed adesso semplicemente dirigo la società di esportazioni di mio suocero. Complimenti, dice lui. Ma insomma dobbiamo festeggiare, fa l’altro, non capita tutti i giorni di incontrare delle vecchie conoscenze. Il cameriere con un’occhiata serve subito due birre appoggiandole sul banco davanti a loro. Questo giro lo offro io, fa quello, però avrei bisogno soltanto di un piccolo piacere; vedi non so come sia accaduto, ma poco fa ho perduto il portafogli, e così sono rimasto soltanto con qualche spicciolo che avevo nelle tasche, ed adesso per tornarmene a casa avrei bisogno di mettere del carburante nel serbatoio della mia macchina. Mi basterebbe mi facessi un piccolo prestito, che naturalmente ti restituirò già domani o un altro giorno se ripassi da qui.
Va bene, fa Corrado leggermente perplesso, posso darti un cinquantino, perché di più non ne ho. Benissimo, fa l’altro mentre beve un lungo sorso di birra, mi sono più che sufficienti. Però adesso devo lasciarti, perché davvero vado di fretta, comunque domani a quest’ora io passo da qui, e se ti fai trovare ci facciamo insieme un’altra bevuta. D’accordo, dice Corrado mentre tira fuori la sua banconota. Così si stringono la mano velocemente con un gran sorrisone da parte soprattutto dell’altro, e poi quello se ne va, quasi di corsa, a mostrare che davvero aveva una gran fretta di andarsene da qualche altra parte.
Lui si sistema di nuovo sul suo panchetto, guarda il cameriere davanti a sé, poi gli chiede: ma ha pagato qualcosa? No, fa quello. Ma lo avevi forse già visto qua dentro? No Corrado, era la prima volta che lo vedevo, ma per quanto sono riuscito in questi anni a conoscere a prima vista la gente, quello non ci torna di certo da queste parti.


Bruno Magnolfi

giovedì 5 ottobre 2017

Piano di scavi.

        

Ci sono delle sere in cui l’aria si mostra pesante. Anna ha preparato la cena, Corrado le ha dato una mano per apparecchiare la tavola, Francesco se ne sta lì in un angolo, il suo compito in genere è quello di affettare del pane e mettere sulla tovaglia le bottiglie d’acqua e del vino, attività cui in perfetto silenzio ha già adempiuto. Non ci sono molte cose da dire, la radio a basso volume riempie come può quel senso di vuoto che aleggia. Stamani ho incontrato l’amministratore di condominio, dice poi Anna come tra sé. Corrado la guarda, si porta un pezzetto di pane alla bocca, poi dopo un attimo dice soltanto: immagino stia studiando come farci spendere altri soldi. No, fa lei, mi ha detto solo che qualcuno dei nostri vicini sta pensando di far tinteggiare la facciata di questo palazzo. Allora non è preoccupante, fa lui; prima di mettere tutti d’accordo ci vorranno come minimo altri dieci anni.
Poi si siedono, Anna serve nei piatti, Francesco dice basta appena vede che la porzione a suo parere è già più che sufficiente. Mangia qualcosa in più, dice sua mamma senza convinzione; lo vedi come sei magro. Lui si schernisce, Corrado lo guarda un momento, ma non aggiunge nient’altro. Oggi ho litigato di nuovo con Torrini, dice tanto per parlare di qualcosa. Sosteneva che il capo avesse detto una cosa che io ero sicuro non avesse mai neppure pensato.  Così siamo andati fino al suo ufficio, e lui ha detto a Torrini che probabilmente aveva proprio capito male, e che non c’era altro da aggiungere, anche se gli faceva piacere naturalmente sentirsi così lusingato, e quindi alla fine pur sbagliando lui è riuscito a fare una bella figura.
Non preoccuparti, dice Anna: il tuo capoufficio sa quanto vali; non saranno certo sufficienti delle sciocchezze del genere per metterti in una cattiva luce. Forse, fa lui, però dover passare ogni giorno tra quei corridoi stando attento continuamente a ciò che viene detto, o anche  meglio, a quello che spesso viene semplicemente accennato, tenendo sempre le antenne bene in funzione, è del tutto snervante. Certo, fa lei, lo capisco; ma in fondo è il tuo lavoro, e tu non devi far altro che vedere il lato positivo delle cose, senza continuare a creare presupposti per delle scaramucce insignificanti con i tuoi colleghi. Va bene, fa lui, tanto con te non riesco mai ad ottenere una qualsiasi gratificazione.
Il figlio lì ascolta con interesse, mentre con la forchetta smuove lentamente i pezzi di cibo dentro al suo piatto, senza decidersi mai a mangiarli davvero. Il suo sguardo accarezza le espressioni che immagina, elabora in figurazioni mentali quasi complete i personaggi che entrano ed escono in quelle piccole storie. Non parteggia mai per nessuno in quelle che reputa ostilità di poco conto, ma immagina con grande chiarezza i pensieri che ognuno di loro riesce ad avere mentre stanno esternando con forza i propri convincimenti. Questa sembra a lui la forza maggiore: immettere dentro uno dei suoi tanti disegni che sta mentalmente elaborando, pur privo di orpelli e contorni,  tutti quei significati che una semplice espressione riesce a sottendere. È ancora un ragazzo, certamente ne è consapevole, ma il punto di vista che adopera è già quello di un disegnatore con esperienza, uno che non ha certo paura di scavare, persino dentro se stesso.


Bruno Magnolfi

lunedì 2 ottobre 2017

Osservatorio.

            

Non ha poi molta importanza per Francesco che i suoi compagni di classe si mettano a fare tanto gli spiritosi, e che continuino magari a dirsi a voce alta momento dopo momento tutto quello che passa loro per la testa; al punto che poi ridendo spesso si ritrovano a darsi dei grandi spintoni proprio durante quei pochi minuti caotici al termine di tutte le lezioni, quando ogni studente ha solo voglia di uscire dalla scuola e di sentirsi finalmente libero. In quell’enorme corridoio che porta all’uscita dall’edificio, quando i ragazzi quasi corrono con i loro zaini già indossati, anche in quei momenti lui resta normalmente indietro e sulle sue, solo e da una parte, come fa quasi sempre durante tutta la mattinata scolastica, tanto che persino se qualcuno gli pone una domanda anche generica ecco che lui la maggior parte delle volte risponde soltanto a monosillabi, senza incoraggiare mai in chiunque alcuna conversazione.
Non è che lui si trovi troppo male con gli altri compagni, anche se gli danno un certo fastidio i tipi troppo esuberanti, soltanto si sente almeno in parte uno spirito solitario, un semplice osservatore della realtà ecco, un tipo a cui piacerebbe certe volte poter diventare addirittura trasparente pur di proseguire a stare con tutti, ma limitandosi a guardare e a prendere nota dei comportamenti di chi riesce ad osservare. In classe sua lo sanno, anche gli insegnanti hanno imparato bene a conoscere quel suo carattere, e generalmente lo lasciano in pace quasi tutti, anche se quando è l’ora dell’uscita può capitare che lui rimanga indietro a guardare gli altri andarsene rapidamente. Forse a lui interessa meno quella specie di evasione quotidiana, oppure non sente di avere come gli altri studenti tutta questa fretta di tornarsene a casa sua.
Francesco disegna quando è da solo, e da qualche parte ha avuto modo di leggere come secondo alcuni la forma è sempre superiore al colore, e che sopra la carta con una semplice matita si può fermare l’espressione più spontanea, quella che generalmente sta sopra la maschera. Così lui tratteggia delle facce, quei semplici visi che più spesso si ritrova attorno, le loro espressioni, i profili di chi conosce maggiormente, cercando di sviluppare il massimo della rappresentazione con il minimo dei segni utilizzati. Prende appunti certe volte, pochi rapidi fregi in chiaroscuro, ma poi sviluppa le sue idee soltanto quando infine è a casa, nel chiuso della sua cameretta, dove il silenzio e la tranquillità gli permettono di essere davvero a proprio agio.
Il momento esatto in cui si ferma e mette via tutti i lavori dentro una grossa scatola tenuta ben nascosta, è quando sta per rientrare in casa anche suo padre: con sua madre naturalmente è un po’ diverso, comunque non vorrebbe mai farsi trovare da nessuno dei due mentre sta lavorando ad un ritratto, perché il suo è come un segreto da tenere celato dentro di sé, considerando oltretutto che non riuscirebbe mai in nessun caso a tenere in mano neppure la matita in loro presenza. È un blocco quello che prova, una sensazione di ostilità profonda che è sicuro verrebbe fuori immediatamente da parte loro, se solo fosse scoperto a svolgere un’attività di questo genere. Così sua madre non soltanto non lo disturba mai, ma lo avverte, quando sa che il suo piccolo segreto sta per essere messo in pericolo da suo padre. Velocemente Francesco mette via tutto, ed è contento di farlo, di custodire in questo modo qualcosa che è soltanto suo, che gli appartiene: un osservatorio privilegiato quasi inespugnabile.


Bruno Magnolfi