E’ stato proprio nell’esatto momento in cui era richiesta determinazione e
freddezza che mi sono mostrato un uomo debole, troppo indeciso sul da farsi,
incerto persino nei movimenti più naturali, e sono riuscito soltanto a
guardarmi attorno come per cercare una via di fuga solo per me e per nessun
altro, si ripete lui mentalmente, come non perdonandosi neppure in parte ciò che
gli è capitato da poco. Ma è successo tutto così in fretta che non ho avuto
neanche il tempo per rendermi conto di quanto stava accadendo, dice tra sé
trattenendo ancora le lacrime. Ora gira per strada, cerca il modo di lasciarsi
alle spalle quei fatti, di riprendere in qualche modo la sua vita normale. Ma
ha quasi paura di incontrare qualcuno che lo riconosca, che gli possa puntare
un dito ed indicarlo come il colpevole, per questo cammina lontano dal suo
quartiere, tra gente che spera non sappia niente di lui, tenendo comunque la
faccia sprofondata tra i baveri del suo cappotto.
Ogni tanto si ferma, si guarda attorno, rivede ancora una volta quei fatti
come fossero ancora lì, a portata di mano, e si sente di nuovo un vigliacco,
incapace di stare con gli altri, ormai ai margini della comunità dei cittadini
che ha sempre considerato come la sua famiglia. Che vita può essere quella che
ruota soltanto nella ricerca di qualche scusa con cui giustificare le cose
successe, che non riesce a guardare gli altri negli occhi senza più alcuna
paura, senza quell’angoscia che provoca un tempo inevitabilmente scaduto, che
non permette recuperi.
Si siede su una panchina, stremato, e forse vorrebbe che qualcuno tra
coloro che lo conoscono meglio fosse in questo momento lì accanto a lui, a
dargli la propria opinione, a proporre un diverso punto di vista per una
attenta lettura di quanto accaduto, magari anche per consigliarlo su quanto sia
possibile fare per ritrovare la sua elementare normalità, ma mai avrebbe il
coraggio di andare a cercare quella persona per chiedergli aiuto. Così resta
solo, fermo sulle sue posizioni, paralizzato in una opinione di sé che non
porta da alcuna parte, e che non riesce a sgombrargli la mente da quei
pensieri, nemmeno in piccola parte.
Forse la sua è soltanto una forma di ordinaria disperazione, un incubo in
cui è caduto senza neppure essersene reso conto davvero, ed adesso che tutto
ormai sembra compiuto, il suo assomiglia soltanto ad un esilio dal quale non è
proprio possibile sottrarsi, e che forse rappresenta l’unica forma disponibile
per espiare almeno in parte una colpa che comunque resta lì, sopra di lui,
inevitabilmente. Poi si guarda attorno, un anziano signore lo osserva, lui
distoglie velocemente lo sguardo, quello invece si avvicina con calma, si siede
accanto a lui, quasi come cercando la sua compagnia. Infine apre il giornale,
scorre qualche notizia, sembra quasi ignorarlo, ma forse solo per non apparire
troppo curioso.
La colpa è soltanto mia, dice lui; l’altro lo guarda, in silenzio, attende
così che vada avanti, che si spieghi, che ormai dica tutto quello che sa. Ci
sono delle volte che per un qualche motivo non si riesce ad incarnare le idee
in cui si è sempre creduto. Allora tutto ci sfugge, improvvisamente tiriamo
fuori una persona che neppure conosciamo, dei modi coi quali non abbiamo mai
avuto niente a che spartire, e che invece sono qui, dentro noi stessi, anche se
fino ad un attimo prima non lo sospettavamo neppure. Rimaniamo sorpresi,
storditi, increduli, ma non c’è niente da fare: questa è la realtà, oltre noi
stessi. L’altro lo fissa ancora un momento, ripiega il giornale con calma, e
infine gli dice: poi arriva anche il momento in cui dobbiamo accettarsi per
quello che siamo, e andarcene a casa; così come avremmo fatto in qualsiasi
altro giorno.
Bruno Magnolfi
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