lunedì 26 dicembre 2016

Cena indispensabile.

            

Lei appare triste, specialmente in giornate come questa; lui invece no, ma forse soltanto perché riesce a fingere meglio. Le dice: dai, usciamo, si fa un giro a vedere chi c'è lungo la strada, e magari ci fermiamo a prendere un caffè. Così escono e trascorrono il pomeriggio in questo modo. Quando tornano indietro la casa è sempre la medesima, ed un certo grigiore, intorno alle lampade dell’ingresso che si accendono al loro rientro, sembra creato apposta per rendere tutto quasi insopportabile.
Qualche volta vorrei andarmene, fa lei quasi sottovoce; poi si mette a sistemare qualcosa di poco impegnativo, senza posare gli occhi su niente di particolare. Lui invece la guarda, sorride forzatamente, poi dice che non è il caso di esagerare se anche questo non sembra il periodo migliore della loro vita. Accende la radio, forse per riempire un vuoto colmo di silenzio, e infine si siede sulla sua poltrona, nell’attesa che lei lo raggiunga e gli dica ancora qualcosa intorno alle parole pronunciate poco prima.
Invece non avviene niente: lui prosegue a starsene seduto, lei gira per la cucina sistemando delle cose che probabilmente potrebbero preludere alla cena. Così lui si alza e la raggiunge, proprio nello stesso momento in cui lei esce dalla stanza per andare in bagno. Lui si accorge che sul tavolo non è stato predisposto niente, così apre il frigorifero e controlla cosa sia possibile mettere ai fornelli. Ma non fa niente, non ha nessuna idea particolare, e dopo qualche minuto torna di là, sedendosi nella stessa poltrona dove stava prima.
Apre una rivista, la sfoglia, ascolta una musichetta che gli ricorda piacevolmente qualche cosa, e intanto attende che lei si ripresenti, che lo abbracci da dietro, come fa sempre. Invece, quando lei torna, va diretta in camera da letto, e quando poi apre la porta mostra che si è cambiata d’abito, e indossando sopra tutto la sua giacca pesante, dice semplicemente: esco; ci vediamo più tardi. Lui si alza, la raggiunge lentamente nell’ingresso, e mentre sta per chiederle qualcosa su quella sua uscita improvvisa, lei apre la porta e sparisce in fretta, senza guardare indietro.
Lui torna a sedersi: qualcosa gli è sfuggito nella comprensione di quel comportamento, così ripensa alle parole che si sono scambiati loro due nelle ultime ore, ma gli pare che niente ci sia di sbagliato o di pesante da parte propria. Attende una mezz’ora, si sente agitato, infine si piazza alla finestra, da dove è possibile tenere d’occhio la strada prospiciente. Niente accade sopra ai marciapiedi là di fronte, se non le solite cose di ogni giorno. Lei torna più tardi, quando lui ormai si sente quasi disperato. Accende le lampade all’ingresso, lo guarda mentre si sfila la giacca dalle spalle: dovremo prendere un cane, gli dice con profonda serietà. Mi piace uscire per arrivare a piedi fino ai giardini, per poi starmene lì, a girare tra le aiuole fino a quando non mi sento stanca: non sarà il massimo della vita, però mi fa sentire libera, almeno per qualche minuto; lontana dal grigiore di sempre, da queste stanze senza più un briciolo d’aria fresca.
Lui la guarda, annuisce, infine va in cucina per evitare di appesantire ulteriormente il clima; si potrebbero cucinare degli spaghetti per stasera, le dice senza grande convinzione. Va bene, fa lei, lascia tutto sul tavolo, che ci penso io a preparare qualcosa per la nostra cena.


Bruno Magnolfi  

mercoledì 21 dicembre 2016

Incontro furtivo.

            
            Guardo avanti in questi giorni, dice Leo con serietà ma senza dare troppa enfasi alle sue parole pronunciate comunque a mezza voce. Prima o dopo dovrai fermarti, dice lei in un sussurro, dopo che ha accettato di incontrarlo, anche soltanto per una manciata di minuti, in quel locale tranquillo, fuori mano, dove nessuno evidentemente la conosce. E intanto sono già sulle tue tracce, dice ancora lei; prima o dopo dovrai mostrarti, non puoi stare sempre con la faccia coperta dagli occhiali scuri. Ti tradirai: basta solo una telefonata, qualche curioso che si pone una domanda di troppo su di te, o che magari fa controllare la tua vera identità, prende qualche informazione circa il tuo passato, concedendosi un’incursione veloce in qualcuno dei segreti che nascondi. Tutto sarà perduto in un momento, proprio mentre stai forse cercando quel briciolo di normalità che adesso ti manca, comprando qualcosa da mangiare, o camminando semplicemente in una strada.
            Va bene, fa lui, hai reso l’idea; però mi sembra adesso di dover fare ancora mille cose, di aver bisogno di sviluppare appieno i miei pensieri, soprattutto le mie idee; da quando mi trovo in questa situazione da braccato, pare che tutte le mie riflessioni girino molto più velocemente dentro la mia testa, e che tutto per me si faccia più a portata di mano, quasi facile, spesso almeno fattibile. Mi pare quasi di poter affrontare qualsiasi cosa, di riuscire ad esprimere con i miei semplici sotterfugi, un segnale forte per me e per tutti quanti, tanto da farmi sentire leale, battagliero, consapevole persino dei miei limiti. Certo Leo, dice la ragazza, ma è proprio questa tua sensazione di grandezza e di imprendibilità che probabilmente ti sarà fatale. E’ normale immaginarsi che le cose per te si faranno negative da un momento all’altro, perché sarà così, ed improvvisamente sarà anche tardi, e non potrai proprio farci più niente.
            Lo so, fa lui, ma in ogni caso, per quanto assurdo sia, mi sento bene in questa fase: è come se finalmente avessi trovato una dimensione particolarmente giusta per me, quella che sapevo esserci da qualche parte, ma che fino ad ora non avevo mai tentato; devo guardarmi attorno, questo è chiaro, stare sempre nascosto e sulla difensiva, cercare continuamente coi miei sensi dilatati delle vie di fuga; ma questo non essere esattamente calato nel sistema mi fa sentire a posto, finalmente io, come effettivamente sono sempre stato. Non può durare molto, lo capisco benissimo, ma in ogni caso devo andare avanti in questo modo, perché se non percorressi fino in fondo questa strada, rinnegherei una parte di me, che adesso grida per stare qui al mio passo.
Qualcuno lo guarda dall'altra parte del locale, lei furtivamente prende dei soldi che aveva preparato, e glieli passa rapidamente sopra al piano del tavolo, nascosti dentro un libro. Leo sorride, è una situazione che, per quanto assurda sia, quasi gli piace, come se finalmente avesse trovato la giusta lotta da portare avanti, contro un nemico diffuso e inafferrabile, che lo fa sentire solo ma importante. Scatta un meccanismo, da qualche parte, lei si volta indietro, avviene qualche cosa in fondo a quel locale, come un colpo d’aria che d’improvviso facesse volare le tovagliette via dai tavoli, e mettesse tutti quanti i presenti di fronte ad una realtà non calcolata. Leo è sparito; quando lei si volta verso di lui, lui non c’è più, volatilizzato insieme al libro, e sopra al tavolo è rimasta solamente un’ombra, un’orma di qualcosa che non sarà più nemmeno tanto facile incontrare.


Bruno Magnolfi

lunedì 19 dicembre 2016

Distanze apprezzabili.

            
            E’ proprio lei, dicono alcuni senza aggiungere altro. Dentro al supermercato, tra gli scaffali, in due o tre poi si voltano con curiosità al suo passaggio, ed uno dice subito a bassa voce, con espressione sincera ma con un tono vagamente canzonatorio, che si stenta perfino a crederci. La donna col suo carrello prosegue impassibile, anche se si è accorta benissimo di attrarre per qualche motivo l’interesse su di sé. Le attività del giorno proseguono per alcuni minuti senza troppe incertezze, fino a quando qualcuno, casualmente accanto a lei, sorride al suo indirizzo, anche in modo vagamente sforzato, come a mostrare in una certa evidenza che forse al suo posto ci sarebbe da sentirsi un po’ in imbarazzo. Lei si ferma, lo squadra, gli concede appena un secondo del suo tempo, forse due, poi riprende a camminare con piena normalità.
            Quando esce è da sola dentro al parcheggio subito di fronte; carica sulla sua auto le borse della spesa, e poi sistema il carrello nella rastrelliera, infine però chiude la macchina, e torna sui suoi passi, con andatura calma, fino alle porte scorrevoli del supermercato. Adesso le pare non ci sia più nessuno delle persone che la tenevano d’occhio poco prima, ma lei si accorge come al loro posto una signora, dall’interno delle vetrate, si sia voltata proprio per osservarla, come se già si aspettasse di vederla là fuori. Lei sostiene quello sguardo, ma quella subito mostra forzata indifferenza, pur iniziando a parlottare di qualcosa con le persone che le stanno vicino.
Lei rientra dentro, ed una cassiera sembra subito la guardi, così scorre lungo il corridoio nell'attesa di affrontare la prima persona che, esattamente come poco fa, mostri dipinta sopra il viso quell'espressione giudicante che ha notato in tutti gli altri. Un ragazzo ride mentre si muove rapidamente e quasi di fretta vicino a lei, e lei lo ferma, senza incertezze, prendendolo per un braccio con la mano, senza neanche stringere, ma con un gesto più che eloquente. Quello si ferma, subito si rannuvola, assume di colpo un'espressione seria, quasi preoccupata. Cosa sai di me, gli chiede lei, guardandolo negli occhi con estrema decisione. Non so, fa lui, però dicono tutti che sei una strega, o una donna senza morale, forse una persona completamente diversa da noi; ma a me non importa, lo giuro, mi diverto così, a dare retta a chi ha soltanto voglia di chiacchierare, e dopo basta, non so altro. Lei lo lascia, senza smettere di guardarlo attentamente. Però, dice ancora lui, forse non c’è niente di vero in quanto dicono, non saprei proprio giudicare. Comunque a me in fondo non interessa niente di tutta questa storia.
Lei si volta mentre il ragazzo se ne va, qualcuno la sta ancora osservando, ma non è possibile fare nulla, qualsiasi cosa avvalorerebbe probabilmente quelle dicerie, e poi lei si metterebbe in una luce ridicola dando peso a cose di quel genere. Così esce, mentre qualcuno continua ad osservarla con uno sguardo nascosto. Dovrei smettere di frequentare questo posto, e probabilmente sarebbe la cosa più sensata da fare, ma così sarei esattamente la persona che vogliono dipingere; perciò mi comporterò esattamente come sempre ho fatto, in modo da non dare alcun seguito a quanto viene millantato. E poi che cosa importa: chi vive appresso a cose del genere, con certezza è qualcuno estremamente distante da ogni mio pensiero.

Bruno Magnolfi 


lunedì 12 dicembre 2016

Attesa estenuante.

            
            Sono a terra, dice lei. Edo resta fermo a guardarla appena per un secondo, giusto un attimo prima di cambiare canale, poi però gli suona il telefono. Niente di speciale, una raccomandazione per il lavoro di domani da un suo collega, così con una scusa riattacca abbastanza velocemente, sentendosi a disagio, e poi la segue con calma e gli occhi bassi fino in cucina. Mi pare di aver perso la bussola, gli spiega lei semplicemente, senza neppure voltarsi. Lui resta in silenzio, gli pare assolutamente egoistico abbracciarla adesso, o farla sentire in qualche modo protetta con dei gesti piuttosto scontati. Così si limita a continuare a guardarla, restando in silenzio, anche se con tutto se stesso e con sincerità vorrebbe essere altrove, magari a ridere con gli amici di stupide battute senza alcun impegno e che non fanno neanche troppo pensare. Invece sta lì, insieme a lei, ed adesso probabilmente deve inventarsi anche qualcosa, trovare una frase o la parola giusta che possa distogliere l’interesse della sua donna da quel tema penoso. 
            Va bene, le dice di slancio: stasera si esce, si va fuori a cena, poi anche al cinema, dove vuoi tu, possiamo invitare qualcuno dei tuoi amici, parlare di tutto quello che vuoi, e tornare a casa tardi come sempre, distrutti dalle risate e dall’esserci dimenticati di qualsiasi apprensione. No, Edo, non questa sera, fa lei. Lui vorrebbe annullare tutte quelle parole ed essere di nuovo lì, davanti alla sua televisione, a seguire un qualsiasi programma, anche senza grande interesse; ma non lo può fare, e per questo si sente a disagio, non riesce a pensare un bel niente, se non a quelle parole dette da lei, che gli provocano soltanto uno schifo naturale, tanto che non vorrebbe mai più sentirle.
            Esco, fa lei d’improvviso; devo camminare da sola e respirare un poco di aria fresca, nient’altro, non preoccuparti per me. Lui non dice niente, ne segue i movimenti ma senza riuscire a guardarla in modo diretto. Lascia che lei si metta il giubbotto, che apra la porta, gli getti un’occhiata e poi se la chiuda alle spalle, tornando dopo un attimo, una volta da solo, a riaccendere la fida televisione. Le passerà, riflette, la mia disponibilità naturalmente c'è tutta, si tratta di capire di cosa effettivamente abbia bisogno. Dopo mezz'ora lei torna, la medesima espressione di prima, va in bagno, forse a piangere un po', infine torna, Edo la segue in silenzio con gli occhi, seduto sopra al divano. Non è colpa tua, fa lei; ma io non sopporto più questo trascinarci da un giorno all'altro con i medesimi gesti, la stessa inutilità delle parole che usiamo. Lui vorrebbe spengere di nuovo la televisione, ma siccome gli parrebbe di dare troppa importanza a quegli argomenti, la lascia accesa, limitandosi ad abbassare il volume e a non guardarne lo schermo.
Devo andarmene, fa lei, almeno per un breve periodo. Ma come, pensa Edo, non dovevamo affrontare insieme le cose? Lui si alza, va in cucina e poi torna con una lattina di birra, quindi si siede sopra un bracciolo, dice soltanto che gli pare tutto vagamente assurdo. Lei lo guarda dritto dentro gli occhi: non siamo uguali, gli dice; viaggiamo con velocità differenti, forse dovremo studiare un metodo per compensarci. Edo abbassa lo sguardo, gli piacerebbe suonasse il telefono in questo momento, o almeno giungesse un messaggio, perché quel silenzio gli sembra estenuante. Come vuoi, le dice alla fine, con un groppo alla gola; tanto puoi sempre trovarmi qui, ad aspettarti.


Bruno Magnolfi