mercoledì 23 novembre 2016

Semplice antiquariato.

           
            Oltre lo schermo di questi miei poveri occhi, semplicemente protetti ma anche esaltati dalle lenti di vetro che porto sul naso, comprendo ogni giorno che c’è soltanto molta diffusa abitudine in ogni comportamento di tutti, dice Natan. Osservo i modi di fare di parecchie persone che conosco da tempo, magari mentre salutano gli altri, o quando passano davanti a questo piccolo negozio dove lavoro da sempre; e mi rendo conto ogni volta di quanto tutto l’insieme di queste piccole cose che compongono la mia giornata, sia dettato alla fine soltanto da elementi senza molta importanza, certe volte addirittura dallo stesso semplice sentire di ogni cliente che passa da qui, come se la sensazione di un individuo opportunamente immerso in un ambito, fosse il suo stesso recinto, la sua piccola oasi, spesso neanche riconoscendo lui stesso, persino in piena onestà, il proprio mostrare in questo modo l’appartenenza ad un gruppo.
            Guardo fuori dalla vetrina dei miei libri antichi, spiega Natan con calma a questo cliente. Ma non c’è nulla che riesca a trascinarmi oltre l’immagine che tento di assumere, sotto l’insegna indiscutibilmente in ebraico che mi sormonta. Entrano i soliti clienti, spesso mi dicono cose che conosco oramai alla perfezione, e che comunque mettono velocemente in sintonia le nostre conoscenze reciproche. Si sorride, si fanno cenni di assenso, poi ognuno di loro in piena libertà acquista qualcosa per la sacrosanta voglia di sentirsi più unito ai suoi simili, sullo stesso versante, fratelli anche oltre qualsiasi possibile supposizione.
            Il cliente resta freddo, non ha voglia neanche di annuire alle affermazioni del negoziante. Prosegue, pur ascoltando con attenzione, a prendere in mano i vecchi volumi ed a saggiarne la carta, l’integrità, la consistenza; alla fine farà un buon acquisto, pensa Natan, che ormai sa riconoscere a prima vista il personaggio giusto per la sua bottega di antiquariato della cultura. L’altro prende tempo, dice ad un tratto che i tempi sono molto diversi da quelli di una volta. Non c’è alcuna possibilità di sentirsi vicini, oramai, se non questo vecchio sentore di polvere, di carta ingiallita, di antico trascorso tra le mani di qualcuno a noi simile.
Natan allora gira su se stesso, fin oltre il suo vecchio scrittoio che funge da bancone di vendita, aspira l'aria quasi per incoraggiare il cliente, ma questi sembra come allontanarsi improvvisamente da quei libri, come desiderasse soltanto trattenersi in quell'ambito appena per qualche minuto, giusto per concludere la chiacchierata, e poi basta. Chissà se è stato giusto parlare proprio con questo cliente delle mie sensazioni, pensa lui con rassegnazione. Non ha alcuna importanza, riflette ancora Natan: va tutto bene se riesco ancora a comprendere quanto qualcuno sia capace di stare all'altezza di tutto questo. Che poi riesca a fargli fare un acquisto, è già un elemento superiore, e non sempre le cose vanno proprio per il verso che si desidera. Il cliente infine lo guarda, chiede di avere ancora tra le mani quel volume prezioso che ha osservato maggiormente, più di ogni altro. Decide l'acquisto, anche se il prezzo gli pare eccessivo, così tergiversa, prende ancora del tempo, chiede un pagamento da effettuare in più volte. Natan sorride, a questo punto, annuendo a tutte le richieste che vengono fatte: non c'è proprio niente di differente con tutti gli altri, pensa risoluto alla fine; siamo simili, inutile stare a negarlo.


Bruno Magnolfi

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