sabato 5 novembre 2016

Insegnamenti ordinari.

          
            L’ampio salotto di casa risulta ingombro, più che da mobili antichi, da un arredamento evidentemente ormai vecchio, invariato da diversi decenni, ed il grande tavolo di legno centrale rimane posizionato sopra un tappeto un po’ logoro, a coprire un pavimento di un vago colore rosso scuro, ben incerato però, e costituito da piastrelle di una normale graniglia di marmi. L’anziana signora vorrebbe dirgli qualcosa, mentre continua con dedizione ad impegnarsi su un piccolo lavoro di cucito, seduta nell’angolo più luminoso di quella stanza, ma lui sembra distante, pur seduto a quel tavolo, interessato com’è dalla lettura di un articolo del suo giornale.
            Dobbiamo essere maggiormente concreti e realisti, e pensare che le cose da ora in avanti possono persino peggiorare, vorrebbe forse spiegarle lui, magari soltanto per smuovere qualcosa della sua sensibilità residua, probabilmente ancora presente nella vecchia mentalità della sua mamma, pur così restia a qualsiasi cambiamento; ma di fatto, immobile sopra le pagine scritte, allontana subito da sé quell’argomento, ad evitare che le parole e le frasi possibili, inanellandosi velocemente tra loro, portino verso chissà quali discorsi, che adesso secondo lui non è proprio il caso di affrontare. Lei invece, nello stesso momento, in qualche maniera riesce persino ad immaginare proprio quei pensieri del figlio, mentre stanno sull’orlo del farsi parole, ma sapendo già l’argomento a cui si potrebbero riferire, si sente poco propensa a spianargli la strada di quel dialogo, e così resta in perfetto silenzio, nell’attesa magari di una prova decisamente più convincente di personalità, da parte di lui. In più sa che è quasi l’ora del tè, un rito praticamente irrinunciabile per una come lei, eppure resta in attesa, come se dovesse essere proprio suo figlio a ricordarglielo. Infine sbuffa, muovendo sensibilmente le mani e insieme il pezzo di stoffa a cui sta lavorando, e lui, proprio per non darle soddisfazione, finge di non accorgersi praticamente di niente.
            Allora lei si alza, appoggia con cura le sue cose, poi senza fermarsi chiede a suo figlio, ricordandosi d’improvviso che ha oramai quasi cinquant’anni, se desiderasse una tazza di quel tè che proprio in questo momento sta andando in cucina per preparare, ed infine esce dalla stanza, dopo lo scontato diniego di lui, che non ha mai gradito, in tutta la sua vita, quella bevanda. Lui allora ne approfitta per alzarsi dal tavolo, andare alla finestra, e scansando la tendina, guardare fuori con occhio indagatore quel minimo panorama invariato da sempre, per poi tornare a sedersi, quasi nella stessa posizione di prima. Le giornate si sono accorciate, pensa di dire alla mamma appena lei sarà tornata con la sua tazza fumante, ma quando questo avviene davvero, gli sembra improvvisamente una frase talmente scontata da sentirsi quasi in obbligo di evitare l’apertura della sua bocca. Anche lei probabilmente pensa la medesima cosa riguardo i pomeriggi sempre più brevi, tanto da accendere una lampada accanto alla sua postazione, una volta seduta; ma anche a lei forse risulta un argomento troppo banale.
            Allora il figlio si alza, indossa con metodo la sua giacca pesante, e dice che adesso andrà a fare due passi, per tornare tra un’ora o poco più, proprio per aiutarla a preparare la cena; lei lo osserva un momento, sollevando lo sguardo sopra le lenti dei suoi occhiali, e dice soltanto: va bene, senza espressione, e nient’altro. Ha ancora molte cose da imparare, pensa subito dentro di sé, mentre ascolta in fondo all’ingresso, il portone aprirsi e richiudersi: e forse non c’è più neanche il tempo per insegnargli davvero qualcosa.


            Bruno Magnolfi 

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