mercoledì 27 aprile 2016

Rinuncia cosciente.



Lei ha sempre avuto qualcosa da fare in tutto questo tempo. Forse potrebbe essere accaduto così soltanto perché è tipico del suo carattere essere persino troppo disponibile nell’occuparsi di tutto ciò che le capita di avere sotto gli occhi; oppure, bisogna anche aggiungere, semplicemente per una serie ineguagliabile di combinazioni particolarmente sfortunate per lei, delle quali in ogni caso neppure si è mai resa conto, visto che ci si è sempre trovata nel mezzo a doverle affrontare. Se non avessi di che cosa occuparmi, ha pensato sorridendo tra sé qualche volta, probabilmente starei qui ad inventarmi di sana pianta qualche nuovo impegno, e come sempre senza minimamente preoccuparmi del tempo per me stessa che viene costantemente a mancarmi. I suoi giorni in questa maniera scorrono spesso in modo nevrotico, saltando da un’attività all’altra, quasi senza possibilità di tirare un vero respiro tranquillo, soffocati da tante piccole operazioni che riescono a riempire tutto quanto il tempo a sua disposizione.
E forse, magari proprio per questo, in una giornata qualsiasi come quella di oggi, attraversata dalla coscienza improvvisa di come stiano andando veramente le cose per lei, oppure per chissà quale altro motivo, all’improvviso, contravvenendo ai suoi ordinari comportamenti, di colpo si mette seduta nella sua stanza, restando per qualche minuto quasi immobile; e giusto dopo avere appoggiato le sue borse sul tavolo, una volta rientrata a casa dal lavoro, e sentendosi esausta da tutto ciò di cui si è dovuta occupare, si concentra, come mai le è capitato, ad osservare di fronte a sé qualcosa di apparentemente ordinario, come la pioggia fine di primavera di questo pomeriggio, o anche le nuove foglie verdi di una pianta sopra ad un balcone di fronte, tenendo le mani a riposo distese sul tavolo, senza avere più né la volontà e neppure la forza di occuparsi di altro.
Allo stipite della finestra una piccola sconnessione dell'intonaco, mai notata prima, pare improvvisamente il profilo di qualcosa che tende verso l'aria; o che magari sembra un elemento che stia lì ad indicare qualcosa di significativo ed anche sfuggente. Lei apre i vetri, guarda l'aria fresca e pulita del pomeriggio, ascolta il rumore leggero del traffico lungo il viale poco più avanti. Qualcuno allora sembra chiamarla dalla strada giù in basso, così lei si volta, guarda verso un lato del suo campo visivo, ma non stanno cercando di lei, sono soltanto dei ragazzi che giocano, qualcosa che appare del tutto normale, ma anche un elemento del quale lei forse non si sarebbe mai accorta.
Rientra, e di colpo sente di avere perduto qualcosa, sicuramente qualcosa di una certa importanza, così torna ad affacciarsi a quella finestra, ed a sorridere a tutto ciò che riesce a vedere. Un uomo da un terrazzino la nota: buonasera le dice, e lei gli risponde con tutta l’allegria che riesce ad avere. Poi torna ad osservare lo stipite, che adesso sembra quasi cambiato, come fosse un’orma scolpita nella muratura di un palazzetto anonimo come quello, a mostrare qualcosa di impalpabile ed insieme necessario. C’è da mettere a posto le cose, pensa di seguito; ci sarebbe da preparare la cena, naturalmente dopo essermi lavata accuratamente le mani, ed indossare qualcosa di comodo, poi il grembiule per evitare le macchie, e dare una ravviata all’appartamento rimasto deserto da stamattina; ci sarebbe da pulire anche il bagno, vuotare la lavastoviglie, controllare che la lavatrice abbia completato il suo ciclo, tendere i panni sopra al balcone, controllare che tutto sia in ordine, che non abbia dimenticato qualcosa, ed infine decidere che cosa mettermi a cucinare.
Torna a sedersi: nessuno si occuperà mai di quelle minime cose al suo posto, riflette; tanto vale affrontarle come assolutamente necessarie, come cose da fare, e basta così. Magari potrebbe fare tutto quanto solo con un po’ più di calma del solito, apprezzando qualche passaggio, e forse tornando a guardare lo stipite che adesso lei non riesce proprio a capire che cosa mai le ricordi. Forse non le rammenta un bel niente, se ci pensa davvero; o forse addita tutto ciò a cui lei sostanzialmente ha già rinunciato da tanto.


Bruno Magnolfi 

domenica 17 aprile 2016

Interferenze minimali.

            

            Proprio in questo momento, con le dovute accortezze, si stanno scrivendo delle relazioni continuamente aggiornate proprio su di lui, su questo personaggio così timido e sfuggente, un uomo che oltre queste evidenze non ha neppure altre caratteristiche, ma che vengono comunque corredate perfino con tanti piccoli filmati proprio indirizzati ad indagare sui suoi comportamenti e su quegli ordinari modi che ha di fare e di muoversi, arrivando a dettagliare le maniere che adotta per interagire con gli altri. Lo scopo finale di tutto quanto è solo e semplicemente quello di avere una visone completa e realistica delle cose, proprio per prepararsi a quanto magari potrebbe avvenire.
            C’è già stato chi ha avuto da lamentarsi di tutto questo interesse verso una sola persona che secondo alcuni non meriterebbe neanche tanti riguardi, ma in generale quasi tutti sono convinti che se mai ci sarà un risultato positivo da tutto un lavoro del genere o da altri simili, questo lo si tirerà fuori soltanto da alcune metodologie di indagine che generalmente vengono adottate in casi proprio ed esattamente di questo genere. Perciò si prosegue, indubbiamente, e nelle giornate più tranquille, in questo modo, è già risultato con grande evidenza che lui normalmente tende a muoversi con calma, in una maniera, si potrebbe persino dire, del tutto naturale, senza sforzare mai troppo i suoi arti superiori e neppure quelli inferiori nelle attività che si trova quotidianamente ad affrontare; ma, al contrario, durante i momenti del giorno giudicati più neri ed avversi, le cose per lui paiono cambiare completamente di significato, e la realtà sembra farsi rapidamente più densa di elementi difficilmente interpretabili, tanto che spesso si è già ricorsi a chiedere degli illuminati pareri ad uno studioso specializzato in questa materia.
            Pare sia nervosismo, si dice e si scrive alla fine di quasi tutte le relazioni, anche se c’è naturalmente chi cerca di negare addirittura un’evidenza del genere. Per questo si prendono in esame i piccoli documentari al riguardo, e si scandaglia con una certa meticolosità qualsiasi elemento possa scaturire anche da una visione distaccata e soprattutto neutrale. La commissione designata nel compilare un dettagliato responso sul materiale accumulato fino adesso, indicando naturalmente quali strategie usare nel futuro più prossimo, sembra convinta che tutto quanto questo organismo sociale che pare costantemente girargli attorno, sia esattamente, in qualche maniera, il semplice ostaggio delle sue diverse sfuriate, e proprio per questo del tutto inaccettabile.  
            Infine lo si affronta direttamente, il personaggio oggetto di tutto questo interesse, ed un operatore scelto appositamente per interpretare il ruolo dell’intervistatore, lo ferma improvvisamente per strada, chiedendogli, naturalmente con l’ausilio di un finto microfono che in realtà ne nasconde uno vero ma molto più piccolo di dimensioni, cosa mai ne pensi della realtà. Lui si schernisce: forse non pensa, potrebbe dire qualche malizioso; oppure persino: non è neanche abituato a farlo, c’è soltanto da comprenderlo. Ma infine dice: lascio che tutto accada, senza minimamente interferire. I due naturalmente a questo punto si sorridono: l’intervistatore non è neppure preparato per affrontare una risposta del genere, e quindi non sa neanche come riuscire ad andare avanti, e lui al contrario lo guarda senza esagerazioni, come se cercasse addirittura una condivisione su ciò che ha appena finito di sostenere.  
            I due si salutano, le telecamere del quartiere e quelle allestite appositamente per riprendere il personaggio sfumano a questo punto sulla sua immagine: lui riprende a camminare come sempre, la medesima andatura di ogni volta, l’espressione di sempre sopra la faccia, la stessa direzione di ogni giorno per la sua passeggiata; eppure a nessuno sfugge che qualcosa sia inevitabilmente cambiato.


            Bruno Magnolfi

martedì 12 aprile 2016

Piano debole.

           

            Mentre se ne sta in coda allo sportello bancario, l’occhio elettronico di una telecamera piazzata in alto lo segue. Lui potrebbe avere in tasca una qualche arma impropria, magari un semplice taglierino, e con quello minacciare d’improvviso la giovane cassiera, farsi consegnare velocemente tutti quei bigliettoni che lei tiene nel cassetto davanti a sé, e poi scappare via dalla porta di entrata, senza che praticamente nessuno si possa quasi rendere conto di niente.
In seguito forse sarebbe sufficiente per lui rasarsi i capelli, oppure farsi crescere la barba, magari indossare un paio di grandi occhiali da vista, assumere una camminata leggermente claudicante aiutandosi presumibilmente con un appropriato bastone, e tutti i sospetti sarebbero dissipati rapidamente, fino al punto da avere la possibilità di costruirsi addirittura un’esistenza diversa. In ogni caso tutto potrebbe svolgersi in pochi minuti, quasi un battito di ciglia, ma le variazioni innestate sarebbero tali da allungarsi per tempi estremamente più lunghi.
In precedenza a lui non è mai accaduto di avere dei pensieri del genere, e poi se anche talvolta non si è forse comportato da vero cittadino modello, indubbiamente fino ad oggi quando gli è capitato di infrangere qualche banale legge dello stato, è risultato soltanto per piccole cose del tutto irrilevanti, ordinarie sciocchezze senza alcuna importanza, tanto che non ne è scaturita mai nessuna conseguenza. Soprattutto per questo motivo, con ogni logica, lui adesso si ritrova in una fase di estrema incertezza. Si tratta di dare un colpo decisivo a tutto il passato ed affrontare così all'improvviso qualcosa di nuovo. Ma non è facile: qualsiasi variazione tra le sue consuetudini potrebbe anche essere un trauma, e magari risultare soltanto un elemento indesiderato.
Una signora dietro di lui sembra sbuffare per quell’afflusso improvviso di gente nell’agenzia della banca, ed anche se tutti adesso sembrano ben ordinati ed estremamente corretti nel conservare le loro posizioni in quella fila, di fatto, a guardarli bene uno per uno, sembrano estremamente contrariati da quell’attesa e da quelle lungaggini. Lui si guarda attorno, non vorrebbe apparire nervoso come altri, così sorride a qualcuno che neppure lo guarda in fondo al lungo corridoio su un fianco della sala, e poi torna velocemente, per una pura azione riflessa, a riguardare le insulse carte che continua a tenere tra le sue mani. Avverte un leggerissimo sibilo nell’aria, e immagina sia l'occhio elettronico nella sua attività di memorizzazione di tutte le immagini monotone che si susseguono. Ma tutto gli pare improvvisamente soltanto una grande ironia.
Infine la persona di fronte gli sembra abbia finalmente terminato, ed adesso senza ombra di dubbio sta proprio a lui: così tentenna un momento, poi si avvicina allo sportello, sorride alla cassiera, cerca qualcosa con fare distratto dentro le tasche. Quella velocemente gli chiede: deve versare o ritirare dal suo conto? Lui si trova momentaneamente impreparato, si guarda un attimo attorno, immagina la signora rimasta dietro mentre sta forse ancora sbuffando, e alla fine dice solamente: devo ritirare, una piccola cifra, se non le dispiace. L’impiegata digita qualcosa, una macchina subito si muove, arriva in un attimo un foglio appena stampato, passa sotto al vetro blindato insieme alla penna per apporre la firma, lui compie tutto ciò che gli viene testé suggerito, poi tira fuori il taglierino che era pur cosciente di avere nascosto da qualche parte.
Niente, dice tra sé, questo adesso non ha più alcun valore; così intasca i pochi soldi che gli vengono consegnati, ripone tutti i suoi oggetti ed anche quell’inutile lama, infine saluta, e poi esce con calma, come tutti, da quegli uffici bancari. Sarà per la prossima volta, pensa; tanto ci sarà tutto il tempo necessario per studiare un piano più dettagliato.


Bruno Magnolfi

martedì 5 aprile 2016

Sufficiente così.

        
Lei pensa, anche se forse non dovrebbe neanche farlo. Tutt’ossa com’è, ormai alla sua bella età, si rannicchia sulla sedia e poi se ne sta da una parte, in silenzio, senza disturbare nessuno. Gli altri si muovono, camminano, parlano, vanno e poi tornano, e lei è sempre lì, con lo sguardo nel vuoto. Nessuno le chiede quasi più niente, se non raramente, e lei risponde soltanto con un gesto del capo e mezzo sorriso. Tutti immaginano che abbia tali ricordi dentro la testa capaci di tenerla occupata per tutto quel tempo, ma non è esattamente così. Nella sala da pranzo lei si sistema sempre allo stesso posto del medesimo tavolo, accanto ad una finestra che guarda il giardino, e mangia quello che c’è con una calma estenuante, tanto da farsi portare via il piatto anche se qualche volta non avrebbe neppure finito. Qualcuno la crede scostante, però sbaglia.
I suoi personaggi si muovono lentamente davanti ai suoi occhi, e lei studia le scene, riflette a fondo persino i costumi, e cambia le espressioni delle facce di tutti, quando si accorge che non sono opportune. I testi sono quasi sempre gli stessi, ma le battute vengono pronunciate in mille maniere diverse, lasciando scaturire da quelle poche parole che ripassa nella sua testa, significati ogni volta differenti. In genere agli inizi sono stati soltanto dei vecchi ricordi della sua smisurata passione teatrale, ma col tempo si sono ormai  talmente modificati, a forza di essere ripercorsi soltanto mentalmente, da avere mutato completamente di senso, ed essere diventati qualcosa di nuovo, di diverso, di inusitato.
Qualcuno del centro anziani che conosce almeno in parte quel suo interesse, certe volte le chiede qualcosa, se sia già stato aperto il sipario, per dire, o se gli attori stiano ancora provando le parti, ad esempio; ma lei in genere getta un’occhiata da qualche parte e poi lascia in aria un sorriso, riprendendo subito con grande pazienza la sua difficile attività tutta mentale di regista e scenografa.
Infine in un giorno qualunque arrivano tre strampalati di un’associazione nata per intrattenere i degenti. Hanno in mente di recitare alcune scenette, roba leggera, senza troppo impegno, soltanto qualche testo scolastico ulteriormente accorciato e semplificato. Lei si piazza seduta, lascia che si inizi, segue ogni cosa con grande attenzione, ma dopo il primo quadretto un suo conoscente girandosi verso di lei le chiede con voce alta se le sia piaciuto.
Allora, così tremolante e smunta com’è, lei si alza, va su quel piccolo palco improvvisato, fa spostare un attore, gli dice qualcosa con voce bassa, spiega ad un altro come essere maggiormente espressivo, fa togliere una giacca di scena e piazza una sedia più vicina agli astanti. Infine si siede e lascia che la recita riprenda il suo corso. Tutto si fa più attento e preciso, i deboli attori si impegnano al massimo, gli anziani seguono con attenzione ogni dettaglio. Quando termina tutto, gli applausi sono spontanei, i residenti del centro hanno apprezzato, anche se qualcuno guarda dalla sua parte con sufficienza, fino a chiederle con un sorriso quasi di scherno chi mai si creda di essere. Non sono niente, fa lei sottovoce in risposta; il mio nome è Lucia, e basta così.


Bruno Magnolfi