mercoledì 16 marzo 2016

Due storie vere.

           

            Una volta salutata la mamma che ancora non sa niente, lui corre a perdifiato giù per le scale del condominio dove abita, fino ad arrivare a spalancare in fretta quel portone, e poi via lungo la strada anonima, tanto che diverse persone anche solo sfiorate dal suo corpo adesso sudato sotto la camicia, si voltano ad osservare per curiosità cosa mai ci possa essere più avanti di così impellente. In seguito rallenta, infine si mette semplicemente a camminare a passo svelto, e quando è ormai abbastanza lontano da casa sua si ferma del tutto, proprio a riprendere fiato, e si piega su se stesso con le mani sulle cosce, ormai stremato per la tensione e la fatica.
            Devo fare qualcosa, pensa; devo assolutamente trovare una soluzione, ed è importante che immediatamente sia pronto a tutto. Si rimette a camminare, giunge nella piazzetta come fa ogni giorno, entra nella sala giochi dove lo aspettano. Non c’è niente di nuovo, si dice subito tra i ragazzi che lo guardano, sembra che tutto sia esattamente come ti abbiamo riferito per telefono, pare inutile persino parlarne ancora. Lui esce senza dire niente, si guarda in giro, poi lo raggiunge Daniele, si mette semplicemente accanto a lui, appoggiato al muro, come a mostrargli che vorrebbe tanto aiutarlo, e quando si avviano con esagerata lentezza, sembra quasi ci sia stato un accordo precedente per quel passo quasi da bulli navigati.
            Certo che se dovevi fare una stupidaggine sei andato a sceglierti proprio la più grossa. Dimmi ancora cosa dicevano nei corridoi della scuola, fa lui. Niente, dice Daniele, che verrai radiato, ad iniziare da subito, e che per uno come te la scuola deve porre un termine, lo faceva presente a voce alta il preside con tutti gli insegnanti a fine mattinata, ed oggi pomeriggio decideranno. Però, se vuoi sapere la mia opinione, sporgerti dalla finestra, calarti dal tubo della grondaia e poi andartene direttamente saltando la cancellata, è stata veramente una trovata senza senso. Cosa ci posso fare, fa lui sottovoce, se quella prof stamani era pedante, insopportabile, e continuava a fare le domande solo a me. Si, lo so, dice Daniele, ma a volte bisogna riuscire a reggerle certe situazioni.
Va bene, dice lui, adesso però vattene, che tanto non mi servi a niente. L’altro lo guarda, si allontana di un passo, poi chiede ancora: cosa pensi di fare adesso? Lui non dice niente, semplicemente se ne va, sembra che il suo sguardo sia già verso un altrove incomprensibile, forse potrebbe tornarsene a casa a piangere, dire alla mamma cosa gli è successo, provare a spiegarsi, o forse andarsene da qualche parte e farsi vivo soltanto dopo qualche giorno, o anche mai più. La sua testa gli brulica di pensieri divergenti, nessuna razionalità gli viene in soccorso. Accende una sigaretta, ma la getta subito via, non ha voglia di niente, non riesce neanche a comprendere come si sia messo in questa situazione.
Escono dal locale gli altri ragazzi che fino ad ora erano rimasti a parlottare tra di loro, vanno tutti verso di lui, ma lui si gira, compie qualche passo nella direzione opposta, poi ricomincia a correre, fino a sparire dalla vista. Gli viene a mente che qualcuno gli aveva anche detto che sarebbe stato soltanto lui a pagare, e forse in quel momento sarebbe stato il caso di ascoltarlo. Torna a fermarsi, forse non è del tutto una combinazione se si ritrova davanti alla sua scuola, anche se ora gli pare che il conto sia troppo salato per uno come lui; vorrebbe tanto tornare indietro, forse dire a tutti che c’è stato uno sbaglio, che adesso avrebbe soltanto bisogno di un’altra possibilità. Ma l’edificio in questo momento sembra chiuso, pare che dentro non ci sia proprio nessuno, ed è probabile che la riunione per decidere proprio su di lui, magari non la faranno neanche là dentro. O forse hanno già deciso della sua vita, ed adesso se ne sono andati tutti via.


Bruno Magnolfi 

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