martedì 29 marzo 2016

Ordinario tornaconto.

            

Da un po’ di tempo a questa parte,  tra gli amici e i conoscenti che si ritrovano abitualmente al Caffè Centrale, si prosegue a sostenere senza mezzi termini quanto quel certo Marco Lenzi, presente a tutti fino ad un po’ di tempo addietro come una grande personalità brillante, si stia di fatto sempre più dimostrando come un individuo sostanzialmente poco affidabile, tanto che l’impressione generale che se ne ricava semplicemente ad incontrarlo lungo le strette vie cittadine, cosa che avviene negli ultimi mesi anche piuttosto raramente, è quella di una persona oramai persino poco interessata all'opinione di tutti, e forse addirittura indifferente anche al doveroso difendersi da questo genere di accuse. Per di più in un’altra epoca è stato anche un consigliere eccelso nella giunta comunale del paese, sottolineano spesso quasi tutti nel locale, quindi peraltro anche una illustre personalità pubblica, e ben ci si ricorda che in quegli anni, fino a quando uscì volontariamente di scena smettendo di occuparsi attivamente di politica, pareva proprio, almeno ai suoi elettori, una tra le persone dimostratesi più oneste e disinteressate di ogni altra nel paese, praticamente uno di quelli che le cose le fa solo per una vera e sentita fede.
Adesso al contrario appare quasi latitante, uno che non si fa quasi più vedere in giro, al punto che quando qualcuno ha persino l’ardire di fermarlo per la strada con un saluto o anche con un semplice sorriso di circostanza, ecco che lui sembra come sfuggire subito a tutto, tanto più a qualsiasi pur semplice domanda gli venga posta, sollevando le spalle, sviando lo sguardo, mandando avanti con indifferenza il proprio passo, come se non avesse quasi più niente da spartire neppure con i suoi concittadini. In una situazione del genere le voci incontrollate attorno a Marco Lenzi sembrano quasi inseguirsi tra di loro, ed anche se spesso sembrano soltanto supposizioni negative sul suo conto, in altri casi paiono invece delle vere certezze che in qualche modo riescono a spiegare come lui sia ormai sommerso di debiti, e proprio per questo quasi alla disperazione. Naturalmente nelle ultime settimane nessuno lo ha più neppure visto, salvo il Marrini, che lo ha incontrato al buio una sera qualsiasi lungo un marciapiede, mentre quell’altro pareva quasi coprirsi la faccia con la sciarpa, forse però soltanto per il vento gelido, chissà.
Per questo al Caffè Centrale si è deciso d’improvviso che oramai è assolutamente il caso di vedere le cose con chiarezza, e non a caso si è dato subito incarico proprio al Marrini, peraltro suo grande amico anche se ormai di un’altra epoca, per indagare quanto più possibile sul suo conto, fino a consigliarlo di recarsi addirittura a casa sua, a fargli almeno una visita, tanto per comprendere le cose come stiano veramente. Investito ufficialmente così di tutta l’importanza che gli serve, il Marrini va direttamente un pomeriggio verso la sua residenza, provando contemporaneamente timore e curiosità, e suona il campanello di casa Lenzi senza neppure prepararsi troppo a quell’incontro, quasi come gli accadeva oramai tanto tempo prima, quando erano anche colleghi di partito. Scatta dopo poco l'apriporta, nessuno chiede niente, così lui sale, ed entra poi dall’uscio lasciato socchiuso, restando infine fermo in piedi nell'ingresso.
Ti hanno mandato loro, dice subito il Lenzi senza neppure salutarlo. Ho voluto uscire di scena, questo è il punto, e tu lo puoi tranquillamente confermare a tutti, senza che ci sia niente da nascondere. Ma no, dice il Marrini, vedrai che una soluzione si potrà trovare. Sei uno sciocco, fa lui, nessuno cambierà le mie convinzioni, e peraltro non mi interessa minimamente di cambiarle. Vai adesso, vai da loro, racconta a tutti che sto bene, e che non c’è da preoccuparsi per me: tutto si sistemerà, vedrete, e le chiacchiere al caffè troveranno alla fine un punto fermo. Tanto, se pur ne avessi la necessità, non ci potranno mai essere in paese degli amici che mi aiutano davvero, se non riusciranno a trovare nel farlo un vero e proprio tornaconto.


Bruno Magnolfi

mercoledì 16 marzo 2016

Due storie vere.

           

            Una volta salutata la mamma che ancora non sa niente, lui corre a perdifiato giù per le scale del condominio dove abita, fino ad arrivare a spalancare in fretta quel portone, e poi via lungo la strada anonima, tanto che diverse persone anche solo sfiorate dal suo corpo adesso sudato sotto la camicia, si voltano ad osservare per curiosità cosa mai ci possa essere più avanti di così impellente. In seguito rallenta, infine si mette semplicemente a camminare a passo svelto, e quando è ormai abbastanza lontano da casa sua si ferma del tutto, proprio a riprendere fiato, e si piega su se stesso con le mani sulle cosce, ormai stremato per la tensione e la fatica.
            Devo fare qualcosa, pensa; devo assolutamente trovare una soluzione, ed è importante che immediatamente sia pronto a tutto. Si rimette a camminare, giunge nella piazzetta come fa ogni giorno, entra nella sala giochi dove lo aspettano. Non c’è niente di nuovo, si dice subito tra i ragazzi che lo guardano, sembra che tutto sia esattamente come ti abbiamo riferito per telefono, pare inutile persino parlarne ancora. Lui esce senza dire niente, si guarda in giro, poi lo raggiunge Daniele, si mette semplicemente accanto a lui, appoggiato al muro, come a mostrargli che vorrebbe tanto aiutarlo, e quando si avviano con esagerata lentezza, sembra quasi ci sia stato un accordo precedente per quel passo quasi da bulli navigati.
            Certo che se dovevi fare una stupidaggine sei andato a sceglierti proprio la più grossa. Dimmi ancora cosa dicevano nei corridoi della scuola, fa lui. Niente, dice Daniele, che verrai radiato, ad iniziare da subito, e che per uno come te la scuola deve porre un termine, lo faceva presente a voce alta il preside con tutti gli insegnanti a fine mattinata, ed oggi pomeriggio decideranno. Però, se vuoi sapere la mia opinione, sporgerti dalla finestra, calarti dal tubo della grondaia e poi andartene direttamente saltando la cancellata, è stata veramente una trovata senza senso. Cosa ci posso fare, fa lui sottovoce, se quella prof stamani era pedante, insopportabile, e continuava a fare le domande solo a me. Si, lo so, dice Daniele, ma a volte bisogna riuscire a reggerle certe situazioni.
Va bene, dice lui, adesso però vattene, che tanto non mi servi a niente. L’altro lo guarda, si allontana di un passo, poi chiede ancora: cosa pensi di fare adesso? Lui non dice niente, semplicemente se ne va, sembra che il suo sguardo sia già verso un altrove incomprensibile, forse potrebbe tornarsene a casa a piangere, dire alla mamma cosa gli è successo, provare a spiegarsi, o forse andarsene da qualche parte e farsi vivo soltanto dopo qualche giorno, o anche mai più. La sua testa gli brulica di pensieri divergenti, nessuna razionalità gli viene in soccorso. Accende una sigaretta, ma la getta subito via, non ha voglia di niente, non riesce neanche a comprendere come si sia messo in questa situazione.
Escono dal locale gli altri ragazzi che fino ad ora erano rimasti a parlottare tra di loro, vanno tutti verso di lui, ma lui si gira, compie qualche passo nella direzione opposta, poi ricomincia a correre, fino a sparire dalla vista. Gli viene a mente che qualcuno gli aveva anche detto che sarebbe stato soltanto lui a pagare, e forse in quel momento sarebbe stato il caso di ascoltarlo. Torna a fermarsi, forse non è del tutto una combinazione se si ritrova davanti alla sua scuola, anche se ora gli pare che il conto sia troppo salato per uno come lui; vorrebbe tanto tornare indietro, forse dire a tutti che c’è stato uno sbaglio, che adesso avrebbe soltanto bisogno di un’altra possibilità. Ma l’edificio in questo momento sembra chiuso, pare che dentro non ci sia proprio nessuno, ed è probabile che la riunione per decidere proprio su di lui, magari non la faranno neanche là dentro. O forse hanno già deciso della sua vita, ed adesso se ne sono andati tutti via.


Bruno Magnolfi 

lunedì 14 marzo 2016

Violenza morale.

            

            Credo proprio che tu non abbia considerato attentamente le cose, dice lei seccamente. Sul piccolo palco la luce è calda e la scenografia essenziale: un tavolo di legno e due sedie; il fondale invece è scuro e la superficie opaca e assorbente, come una notte quasi del tutto vera.  Lui sembra non abbia neppure voglia di parlare, eppure dice come tra sé che secondo il suo parere non è vero, e che la descrizione dei fatti semplicemente non è precisa, si possono inserire con facilità molti dubbi. Segue un silenzio cupo, che fa presagire qualcosa di poco positivo. Lei si muove, infine appoggia le mani sullo schienale della sedia libera. Lui non la guarda ma resta comunque attento ad ogni dettaglio. Va bene, fa lei, in ogni caso credo si debba cambiare, non si può continuare in questa maniera. Certo, fa lui, sono assolutamente d'accordo, anche se naturalmente non posso rinunciare alle mie abitudini. Quali abitudini?, dice lei con un tono già leggermente ironico.
            Lui si alza dalla sua sedia, muove un braccio verso la platea, quasi per un gesto da eroe, poi sorride, e dice: semplicemente quello che ho sempre fatto in questi ultimi tempi. Lei ha un moto di rabbia, le pare quasi impossibile dover affrontare delle sciocchezze del genere in mezzo ad argomenti assolutamente seri ed importanti come quelli che è riuscita finalmente a far scaturire. Va bene, dice alla fine guardando improvvisamente dalla parte opposta a dove lui si è piazzato; se adesso si tratta di trovare un penoso compromesso, dico soltanto che non sarei per niente d’accordo, ma in ogni caso, giusto a dimostrazione di quanto voglia essere oltremodo permissiva, intavoliamo pure anche questo argomento.
            Lui ride nervosamente, forse gli pare di avere già vinto qualcosa, chissà. Sul fondale si illumina debolmente una zona, una persona appare sullo sfondo, poi scompare velocemente. Si tratta soltanto di considerare che ognuno di noi con il tempo matura certi comportamenti ai quali in seguito diventa difficile rinunciare, dice lui. Per esempio per me tornare in questa casa senza trovarti sarebbe qualcosa di scioccante, non tanto perché mi sono abituato alla tua presenza, naturalmente, ma soltanto perché fai parte della mia giornata, dei miei pensieri, dei miei desideri.
            Lei torna a guardarlo con una vaga espressione di sfida: non crede affatto a quanto le viene riferito, con ogni evidenza, però al momento sarebbe anche disposta a fingere di esserne lusingata, magari per ottenere in questa maniera da lui un credito maggiore. D’accordo, dice alla fine: allora diciamo che potresti continuare a trovarmi a casa quando rientri, esattamente come sembra ti sia abituato, però nel frattempo ci sono stati dei cambiamenti che sono molto più impalpabili, e dei quali ti accorgeresti con più difficoltà e anche poco per volta; in questo caso quale potrebbe essere il tuo comportamento?
            Lui riflette, si alza dalla sedia, osserva il punto dove poco fa si è visto per un attimo una figura stagliarsi, poi si gira verso di lei e dice soltanto: non possono essere delle minacce vere e proprie quelle che porti avanti, altrimenti senza annunciare niente cambieresti e basta. E’ qui che fai confusione, fa lei: è naturale anche per me avere delle abitudini, magari proprio simili alle tue; però le variazioni che potrei apportare non sarebbero di un ordine così netto da far cambiare i comportamenti da un attimo all’altro, e in tutti i casi non ti farò mai presente in che cosa effettivamente consisterebbero.
            Lui si sente adesso molto indeciso riguardo cosa controbattere, ed infine resta in silenzio, gettando però un’altra occhiata sul fondale buio e vuoto: la sua solitudine improvvisamente si staglia, probabilmente l’avverte anche lui in modo profondo, perciò potrebbe tentare un recupero finale in quella piccola discussione. Invece si gira, sgarbatamente, ed alza un dito verso di lei, quasi come una vera violenza, senza neppure il coraggio di fare altro.


            Bruno Magnolfi

martedì 8 marzo 2016

Soffice abitudine.

           
            In paese è stimato da tutti, Oreste Neri, e chi come Nello si è spinto sempre regolarmente fino al suo negozio sapendo di trovare oltre ad un’ottima qualità di frutta e di verdura anche qualche argomento intelligente per scambiare quattro chiacchiere proprio con lui, ora si rammarica nel sapere che la sua malattia ormai neanche gli permette di uscire da casa. Oreste, piazzandosi seduto nel suo salotto, si limita adesso a guardare dalla finestra i suoi concittadini, strascicando quella gamba dolorante ad ogni spostamento, impossibilitato come si trova persino a starsene in piedi, anche se con serenità lascia che gli vengano praticati tutti i massaggi e le iniezioni che servono, applicandosi con grande pazienza alle cure prescritte.
Intorno tutto in quegli ultimi tempi gli appare cambiato, ed ogni suo gesto di adesso assume nelle sue riflessioni quasi un differente significato rispetto a prima, tanto che con ogni occhiata che sporge fuori dai vetri, stenta certe volte a riconoscere nella strada stessa e nelle case di fronte la cittadina dove ha sempre abitato. Qualche cliente più affezionato è venuto all'inizio a fargli una visita, ma in seguito, a parte Nello, nessuno si è più fatto vedere, e lui ora pensa che presto tutti si dimenticheranno di Oreste, ed il suo negozio ora chiuso sarà velocemente ceduto, tanto che lui uscirà poco per volta e immancabilmente dalla stessa memoria del paese e dei suoi concittadini.
Sono finito, si ripete ogni giorno mentre l’infermiere lo aiuta, poi però basta che avverta un leggero miglioramento, ed allora immagina che tutto forse potrà ritornare com'era, e gli basta questa speranza per riacquistare un po’ di  ottimismo. Nello gli porta un giornale o anche qualche rivista, si siede vicino a lui con pazienza e gli racconta qualcosa di sé e del loro paese, giusto per distrazione. Ad Oreste non è mai stato neppure troppo simpatico, e forse questa amicizia che adesso l’altro manifesta gli pare persino un po’ esagerata. Certe volte vorrebbe addirittura che se ne andasse, anche se comprende benissimo che è l’unica compagnia che oramai gli rimane. Si trattiene perciò, perché non sa come fargli capire che queste sue visite sono anche troppo per lui.
Poi Nello gli dice che da domani non potrà più tornare: devo partire, gli spiega, ho davanti a me un lungo viaggio, perciò mi dispiace non poterti più fare neppure una visita per molti mesi da oggi. Oreste lo ascolta, fa cenno di si con la testa quando l’altro gli dice che gli scriverà qualche lettera, però comprende benissimo che Nello gli mancherà, sicuramente, forse anche più di quanto in questo momento può sospettare. Non si sente neppure di chiedergli alcuna spiegazione, soltanto lo abbraccia prima di lasciarlo andare, ed in quel gesto sente come sfuggirgli qualcosa, tanto da restare a lungo a guardarlo dalla finestra mentre Nello si allontana lungo la strada. E’ strano tutto quanto sta succedendo, pensa poi Oreste Neri con calma; fino ad oggi non avrei mai pensato di provare un sentimento del genere: eppure in questo momento vorrei proprio essere con te, Nello, seguendoti ovunque e cercando di non disturbarti mai nel tuo viaggio; e mi piacerebbe tanto improvvisamente riuscire ad esserti almeno utile, nel darti un supporto, nel sostenere almeno qualche tua scelta; forse perché è soltanto ora, in questo esatto momento, che mi rendo conto di quanto tu sia importante per me, forse anche più di quanto avrei mai immaginato.

Bruno Magnolfi



giovedì 3 marzo 2016

Nessuna parola.

           

            Improvvisamente tu muovi il piede in avanti, appoggi lentamente a terra la suola della scarpa sinistra, fletti leggermente la gamba, lasci avanzare il tuo corpo quel tanto che serve per riequilibrare l’insieme, però poi ti fermi, come colto d’un tratto da un forte indicibile dubbio. Lei ti osserva invece con una certa immobile serietà, ma dopo l’attimo in cui ha calcolato ogni estensione dei gesti che ormai tu hai compiuto, distoglie leggermente il suo sguardo, come se avesse già chiaro che probabilmente non avrai mai il coraggio di fare una mossa ulteriore. Forse intorno a voi due, nell’ampia sala in cui vi trovate, qualcuno vi sta guardando con curiosità, e questa componente in tutto l’insieme ti crea senza dubbio un disagio ulteriore, anche se non è in ogni caso l’elemento essenziale che determina ogni tua futura possibile azione.
            Sembra d’improvviso non ci sia alcuna necessità di parlare, ed il leggero brusio che riempie la sala d’attesa fa soltanto da colonna sonora ad un incontro che avviene in questo momento quasi per un puro caso. Lei vicino ha un'amica, che adesso le chiede qualcosa, le mette a disposizione una sponda, per esempio anche la possibilità di prendere e andarsene. Tu invece stai solo, ed adesso sei fermo, non riesci neppure a calcolare la mossa ulteriore da compiere, così ti limiti ad attendere che qualcosa succeda, magari soltanto per combinazione, oppure che l'intuito ti aiuti.
Ci saranno a malapena quattro metri e cinquanta tra voi, ed ogni tanto qualche sbadato passa in mezzo proprio tra te e lei. Tu allora ti volti su un fianco, osservi distratto il monitor alto sulla parete, fai perdere persino d'importanza almeno per un attimo la possibilità di un saluto come si deve. Lei prosegue a non osservarti, anche se rimani costantemente all’interno del suo campo visivo, ed è evidente come si aspetti qualcosa da te, qualcosa che facilmente forse lei saprebbe indicarti, ma che tu molto probabilmente non vorresti in nessun caso seguire.
Accade qualcosa, annunciano un aereo, ed anche se non è proprio il tuo, guardi comunque l’orologio da polso, fingi impazienza, controlli la borsa e pensi ai tuoi documenti, come se tutto stesse rovinosamente andando verso una conclusione al disopra di qualsiasi volontà. Lei ride, improvvisamente, parlando con la sua amica, forse cerca di assumere una maschera per mostrare che sta ormai da tutt’altra parte, ed è ben superiore a ciò che in questo momento si sta consumando. Allora tu muovi l’altro piede in avanti, tutto il tuo corpo si posiziona di conseguenza in un nuovo assetto, e quasi staresti per dire una qualche parola, una frase pur breve, forse il suo nome soltanto, ma la paura di rompere l’equilibrio incantato che gira attorno a voi due ti fa desistere.
Infine sorridi anche tu, quasi a mostrare a lei che hai capito perfettamente il suo gioco, e ne sei divertito, in fondo i luoghi pubblici hanno sempre qualcosa di magico quando riescono a contenere delle cose private e tanto contorte. Lei porta una mano alla bocca, tu riconosci quel gesto e all’improvviso la senti vicina, così alzi un braccio, indichi vagamente con la mano qualcosa, ma lei di scatto si è già voltata, è altrove, forse non vuole più seguire il tuo gioco. Non è più il momento di dire qualcosa, e neppure quello di avvicinarti ancora; finisce qui questo incontro, una nebulosa indistinta che sembra ad un tratto avvolgere qualsiasi emozione, lasciando semplicemente una lieve amarezza che forse si stemprerà soltanto durante il tuo volo.
Ti volti, stringi la borsa da viaggio, ti incammini lentamente verso il gate, fino a quando ti fermi, torni a girarti, la cerchi, e lei è lì, dietro di te, senza parole.


Bruno Magnolfi