mercoledì 24 febbraio 2016

Inquietudini poco significative.

            

            Non preoccuparti, gli fa ogni tanto sua sorella, assumendo ogni volta un tono di voce, rispetto a qualsiasi altra occasione, ancora più calmo e tranquillizzante, quasi volesse mostrare di trovarsi di fronte, almeno in quei casi, un disturbato, un tipo magari un po’ agitato e forse anche leggermente nevrotico. Di fatto lui è una persona sostanzialmente calma di natura, che peraltro di massima non si interessa mai di molte faccende, se non di quelle strettamente ordinarie e personali, in quanto lascia regolarmente decidere tutto ai componenti della sua stessa famiglia. Certe volte, quando sono proprio a tavola tutti e sei, con i suoi anziani genitori, la zia sempre silenziosa, ed il figlio ancora piccolo di sua sorella, avuto peraltro da un burrascoso rapporto tramontato ormai da vari anni, lui dice per esempio con una certa severità che nella minestra c’è poco sale, anche se non è poi neppure del tutto vero, ma sentenziando questo giusto per innestare come per scherzo una serie di polemiche, di difese e di contro difese proprio attorno a quell’argomento. Ed è proprio così, in momenti di questo genere, che sua sorella cerca allora di ammansirlo.
            Tutto sommato è rassicurante stare in casa, anche se in quel loro grande appartamento le donne tengono in mano praticamente ogni situazione, lasciando agli uomini solo la finta paternità di qualche decisione presa ogni tanto, pur se di fatto già silenziosamente concordata e definita precedentemente dal genere femminile. Lui, in tutto questo meccanismo quotidiano di piccoli poteri, si disinteressa sostanzialmente di qualsiasi cosa, limitandosi a intraprendere ogni giorno, quasi fosse comunque la cosa più importante del mondo, la sua ordinaria e immancabile passeggiata, sempre la medesima da tempo immemorabile, della quale conosce ormai perfettamente ogni tappa e ogni passaggio di tutto il lungo itinerario. E’ l’unica, irremovibile distrazione che d’altronde si concede, per il resto passa la parte rimanente della giornata in casa seduto.
            Sua sorella, quando lui rientra, lo aiuta sempre a togliere la giacca restando nell’ingresso, esattamente come fa con suo figlio quando torna dalla scuola elementare, ma nel suo caso, invece di informarsi sui compiti e sulle lezioni, gli spiffera quasi sottovoce qualcuna delle novità di cui a suo parere deve essere assolutamente messo a conoscenza, quasi fossero, quelle che fa a suo fratello, le rivelazioni di alcuni grandi segreti, tipo dove sta seduta in quel momento la mamma, o anche la zia, oppure cosa hanno pensato di cucinare per la cena, e altre cose di quel genere.
In ogni caso generalmente lui biascica qualche opinione di rimando, giusto per mostrare di aver ricevuto e memorizzato ogni notizia, poi però si disinteressa in fretta di qualsiasi altra cosa, ricominciando a lavorare sul suo tavolino agli amati collages con la carta. Mette una tovaglietta protettiva di plastica, tira fuori da alcuni scatoloni i preziosi ritagli, e poi inizia ad incollare tutto quanto seguendo degli schemi rigidi e definiti. I lavori terminati poi, una volta asciutti e praticamente ignorati dal resto della famiglia, vanno ad accumularsi in genere sopra gli armadi di casa, costituendo però nella loro stratificazione, una risorsa notevolissima, almeno al momento in cui lui sarà finalmente riconosciuto come il grande artista che è convinto di essere.
Delle sue passeggiate invece tutti amano chiedergli sempre qualcosa. Se abbia incontrato qualcuno che conoscono, se faceva freddo, se le nuvole si siano diradate, e se la primavera abbia finalmente iniziato a far fiorire alberi e cespugli. Lui risponde sempre con un certo grado di acquiescenza, ma come a sottolineare che ha avuto ben altro di cui occuparsi, poi torna immancabilmente al suo lavoro manuale. Non mi preoccupo, dice alla fine, se non siete voi a preoccuparvi per me.


Bruno Magnolfi

giovedì 18 febbraio 2016

Semplici errori della quotidianità.

            
            Sono stanca, pensa lei mentre mette un po’ di ombretto intorno agli occhi. Lo specchio, considerata la sua età, evidentemente già da qualche anno le rende un’immagine impietosa, ma in fondo questo non è neppure un elemento per lei troppo importante. Forse non si è mai veramente piaciuta però, ecco il punto vero, e l’indulgenza con cui ha da sempre trattato l’osservazione di se stessa, adesso per colmo sembra come svanire lentamente, lasciando quasi spazio ad una costante e severa autocritica. Forse ci vorrebbero delle variazioni importanti, pensa, dimenticare di colpo la monotonia di questi giorni tutti simili, magari ricoprendola almeno qualche volta con delle cose nuove, con qualche elemento differente da tutto il resto, senza dimenticare mai comunque l’alveo in cui si muovono con maggiore naturalezza tutti i miei fondamentali desideri. 
            Suona il telefono, è lui, sorridente e spiritoso come ogni volta, e dopo qualche carineria le dice con apparente dispiacere che per questa settimana purtroppo è proprio impegnato, e che quindi non si potranno vedere, perché il lavoro senza dubbio rimane sempre un ingrediente necessario e irrinunciabile di ognuno, anche se a volte un po’ troppo ingombrante ed invadente. Riattaccano, in fondo va ancora tutto bene, si dice lei dentro lo specchio, ma il suo sorriso mostra adesso a ben guardare come delle piccole grinze quasi di rabbia: purtroppo niente ultimamente va più come lei davvero vorrebbe, ed anzi piuttosto spesso le pare che tutto stia sfuggendole di mano, e che certe volte la realtà si appropri autonomamente proprio di qualsiasi cosa, in qualche caso persino di ogni suo più vero desiderio.
            Decide di uscire, indossa qualcosa e poi va giù lungo le scale. Fuori non fa neppure troppo freddo, così la solita gente confusa del pomeriggio sembra ingombrare qualsiasi marciapiede. La saluta la signora del negozio di generi alimentari sotto casa, perennemente sulla porta ad attendere clienti e a curiosare sul vicinato mentre il figlio rimane dietro al banco, e lei si ritrova come specchiata in quel consueto gesto cortese ma monotono.  Si sente sola come sempre ad affrontare l'attraversamento dello spazio tempo, quelle onde telluriche quotidiane che tremano impercettibilmente sotto le sue scarpe, ma lei improvvisamente sa di stare bene, orgogliosa di qualcosa che le appartiene anche se pare come sfuggirle dalla comprensione. In fondo non c'è niente di diverso tra lei ed una persona più o meno come lei, un prototipo utilizzato diffusamente per popolare le città, un ingrediente ordinario nella costituzione generale della gente. Si immerge tra i suoi simili, e questo appare un gesto di fondante socializzazione, anche se a lei non costa nulla.
            Quando rientra si sente ancora più abbattuta, senza essere riuscita neppure a mettere sufficientemente a fuoco ciò che le manca veramente. Torna a guardarsi nello specchio: il suo viso adesso sembra la maschera sogghignante di una nuova giornata senza grande senso. Si siede, cerca qualcosa di cui occuparsi, ma niente le pare troppo urgente oppure di un minimo interesse, così si stende, chiude gli occhi, tenta di dimenticare almeno per qualche minuto tutto quanto. Suona il telefono, lei si scuote, raggiunge l’apparecchio, alza con curiosità il ricevitore, dice pronto dentro la cornetta: scusi, dice qualcuno; ho sbagliato numero.


            Bruno Magnolfi 

mercoledì 10 febbraio 2016

Immagine sicura.



Già da diversi minuti l'uomo in divisa sembra stazionare fuori dalla casa, restando là davanti come nell'attesa di qualcosa o forse addirittura di qualcuno. Lei, che lo ha notato fin dall'inizio quasi per una semplice intuizione, semplicemente scansando d’improvviso la tendina alla finestra, vorrebbe proprio che in questo preciso momento quel tizio sparisse alla sua vista, se ne andasse via, come se fosse soltanto un simbolo negativo in quella posizione. L'individuo con la divisa al contrario rimane li, sposta ogni tanto il peso sulle gambe e in ogni caso lentamente, senza neanche muoversi troppo, e infine, quasi sentendosi osservato, gira su se stesso e dà una lunga occhiata a tutta la facciata del condominio alle sue spalle, soffermandosi, magari giusto per caso, a guardare con maggiore attenzione proprio le finestre del primo piano, esattamente quelle dell’appartamento di lei, per poi soddisfatto tornare a voltarsi di nuovo verso la strada, riprendendo a dare con la sua presenza una specie di protezione a tutto il caseggiato.
Lei si sente nervosa, quella strana sentinella non la fa sentire del tutto tranquilla, è come se mostrasse che deve succedere qualcosa, quasi ci fosse un pericolo imminente, e in ogni caso lei non riesce proprio a comprendere che bisogno ci sia di stare là davanti, ad osservare con curiosità qualsiasi cosa. Decide di uscire, anche se di fatto non ce ne sarebbe affatto la necessità, così indossa il soprabito, chiude alle sue spalle il portone condominiale, e passa accanto all'uomo, attraversando poi la strada. Rallenta un'auto, qualcuno dietro ai vetri oscurati pare osservarla a lungo. Lei non sa più che cosa pensare, si ferma per un attimo al negozio di fronte, acquista delle sigarette, poi rientra nel suo appartamento, passando di nuovo accanto all' uomo. Forse dovrebbe fermarsi a parlare con lui, chiedergli che cosa mai stia succedendo, ed il motivo di quel suo strano comportarsi, invece non fa niente, rispondendo al desiderio di non guardarlo neppure, se non fosse che l’uomo in divisa la scruta dietro ai suoi occhiali scuri, come se magari vedesse in lei proprio qualcuno da riconoscere.
            La donna si chiude in casa, accende subito nervosamente una sigaretta, e dopo resta ferma, in attesa dietro la finestra, con le tendine abbassate quasi del tutto. Le auto transitano lungo la strada, dei ragazzi a piedi scambiano tra loro qualche scherzo, la vita di ogni giorno sembra scorrere con regolarità. Poi l’uomo in divisa tira fuori un taccuino da una tasca; si volta verso di lei, anche se non può vederla, protetta com’è dietro le cortine, e segna qualche appunto; infine riprende esattamente la sua posizione iniziale, immobile, con le mani lungo i fianchi. Lei tenta di analizzarne le espressioni: le sembra quasi che sorrida qualche volta, come se apprezzasse qualcosa di quel suo starsene immobile. Ha la faccia liscia, ben sbarbata, e la sua giacca con le mostrine sembra perfetta indosso a lui: è una persona che ci tiene alle apparenze, riflette, uno che cerca di mostrarsi a posto.
Infine lei va a sedersi, cerca in qualche modo di disinteressarsi dell’uomo sulla strada: se inizialmente avrebbe quasi voluto cancellare quella sua presenza, adesso in fondo si sta quasi abituando. Così va in cucina, sistema alcune cose, e si interessa d’altro mentre mette sul fuoco il bollitore. Poi pensa sorridendo che potrebbe invitarlo per il tè, e in questo modo torna verso la finestra, ma quando si ferma accanto ai vetri si accorge subito che l'uomo con la divisa adesso non c'è più, probabilmente ha già compiuto il suo servizio, e quindi semplicemente se n'è andato da quella postazione. Tornerà, pensa lei con ottimismo, dovrà tornare: in fondo la sua presenza dava a tutti una maggiore sicurezza.


Bruno Magnolfi

domenica 7 febbraio 2016

Anonimo avversario.

         

            Fuori dalla macchina, sulla piazzola sterrata lungo la strada provinciale, c’è soltanto il buio della tarda serata e qualche albero spelacchiato intorno, poi più niente. Alberto inizialmente si è fermato un attimo, giusto qualche minuto per ascoltare il silenzio della serata a motore spento e fumarsi una delle sue sigarette in santa pace. Ma la sua auto subito dopo non ne ha voluto più sapere di rimettersi in moto, e dopo aver fatto parecchi tentativi lui adesso sta iniziando a pensare di non avere altra scelta che scendere da lì ed arrivare a piedi almeno fino alle prime case del paese, distanti almeno qualche chilometro, visto che a quell’ora lungo quella via, già normalmente poco frequentata, non sembra passare proprio più nessuno.
            Ma all’improvviso il rombo di un motore sembra come sortire dal buio, i fari di un mezzo stradale scintillano sulle ultime curve, Alberto scende dalla sua auto e si fa subito vedere quasi nel mezzo della carreggiata. Rallenta un furgoncino, senza insistere troppo sui freni a dire il vero, ma alla fine arriva a fermarsi a pochi passi da lui, e qualcuno dall'interno forse abbassa leggermente il finestrino, restando però lì immobile, come in attesa. Scusi, dice Alberto avvicinandosi di un passo e con una certa circospezione, ma proprio in quel momento il furgoncino si rimette in moto e quasi se ne va, visto che finisce col fermarsi appena dopo venti o trenta metri.
            Alberto non sa cosa pensare, guarda le luci di posizione sul retro del mezzo, tenta di comprendere meglio di quale marca e modello possa essere, cerca anche di memorizzarne la targa, ma c’è un numero dentro quel codice che gli rimane del tutto ambiguo, come un segno del tutto diverso da quelli normalmente in uso, forse solo perché coperto da uno schizzo di fango. Torna alla sua auto senza chiedere più niente, rientra, adesso gli appare tutto un po' troppo stravagante, visto che là fuori c'è qualcuno che deve'essere senza dubbio un tipo strano, forse anche pericoloso, e lui non può neppure muoversi da dove si trova. Inizia così a sentirsi esposto a chissà cosa, e stasera essersi dimenticato a casa il suo telefono cellulare di certo non è stata una mossa favorevole.
Dopo un bel pezzo in cui continua a spiare la situazione in cui si trova, quel furgoncino innesta la marcia, riprende la sua strada e sembra proprio andarsene, ma Alberto non si fida e aspetta diversi minuti prima di decidersi ad uscire dall'abitacolo. Poco dopo difatti due fari lentamente si riavvicinano, ma lui si sente stufo della faccenda, ed adesso è deciso ad affrontare il tizio, chiunque sia, che pare voglia divertirsi a prenderlo un po' in giro. Così sta fermo mentre aspetta che si avvicini quel furgone, ma il mezzo all'improvviso si ferma, a venti o trenta metri da lui, proprio come prima, adesso abbagliandolo con i fari accesi. Lui gli va incontro, in fondo ha solo da chiedergli un aiuto generico, niente di particolare, ma ad un tratto è preso da un forte brivido, e torna a fermarsi. Dal furgoncino non giunge alcun segno di vita, se non quel motore che gira al minimo e quei maledetti fanali abbaglianti che non permettono ad Alberto di vedere quasi niente.
Urla forte allora: per favore, ho bisogno di un aiuto, magari di un passaggio fino al primo posto pubblico, ma non riceve alcuna risposta. Alberto resta fermo, gli viene voglia di raccattare un sasso dal margine e scagliarlo con tutte le sue forze contro quel maledetto furgoncino, ma non lo fa. L’altro mezzo invece innesta la retromarcia, inverte la direzione e se ne va di nuovo. Lui si fruga in tasca, poi torna alla sua auto deciso a chiudere le portiere ed avviarsi a piedi verso il primo luogo utile che riuscirà a trovare, così prende la sua borsa, raccoglie tutte le sue cose, ed al momento di staccare le chiavi dal cruscotto prova, per un’ennesima volta, a far girare quel maledettissimo motore, che adesso naturalmente si avvia senza problemi.


Bruno Magnolfi

martedì 2 febbraio 2016

Essenzialmente.

            
            Sono fritto, pensa Enrico. In certi casi lui si va a mettere in un angolo da solo, e cerca di riflettere a lungo sopra le proprie preoccupazioni, anche se non giunge quasi mai ad una conclusione chiara e positiva. La sua fidanzata durante quelle volte lo lascia perdere, sa che è del tutto inutile cercare di interferire con la sua strana sensibilità, perché Enrico, quando si sente cosi in bilico in mezzo alle decisioni che avrebbe bisogno di prendere, è del tutto intrattabile, non ragiona, lascia che il suo organismo si gonfi di tutto ciò che è riuscito ad accantonare in precedenza, e poi rimane li, semplicemente a misurare il punto di rottura. Lei non si fida, lui in questi casi assume un’espressione cattiva, uno sguardo quasi da animale braccato che cerca soltanto di difendersi, pur neppure sapendo da cosa, ed in quelle giornate a lei pare che Enrico potrebbe fare qualsiasi sciocchezza, salvo pentirsene subito dopo.
            Già diverse volte ha cercato di allontanarsi da lui, di lasciarlo insomma, ma non è affatto facile: Enrico la ricatta tramite l’atteggiamento dimesso che talvolta riesce ad assumere, un misto tra la sofferenza di una persona sola e scacciata da tutti, e la necessità di protezione quasi infantile che mostra. Lei pensa ogni volta che lui possa cambiare, che in qualche modo sia diventato improvvisamente quel dolce ragazzone che al momento mostra di essere, proprio come quando lo ha conosciuto, e così ricasca regolarmente in quel rapporto malato, in cui periodicamente le cose precipitano, senza possibilità di salvarsi. Enrico non è mai stato violento con lei, o almeno fino adesso lo è stato soltanto con le parole, alzando la voce e qualche volta offendendola, ma ciò non esclude che un giorno o l’altro possa colpirla o anche peggio.
            Adesso però quel momento sembra proprio arrivato. Lui ha fatto un’assurda scenata cercando di dimostrare con discorsi paranoici come lei lo tradisca, ed ha chiuso completamente le orecchie a qualsiasi spiegazione riguardo le sciocchezze che è stato capace di tirar fuori, continuando così a scaldarsi ed a perdere poco per volta qualsiasi razionalità. Poi le ha dato una spinta, ad un tratto, gettandola giù dalla macchina mentre stava urlandole ancora qualcosa, e infine è ripartito come un pazzo dalla piazzola dove si erano fermati per qualche minuto. Dopo pochi metri però è tornato indietro, e nel buio del luogo isolato è passato con le ruote dell’auto sopra al corpo ancora a terra della sua fidanzata. Poi alla fine è fuggito.
Quando si vaga senza una meta, sentendosi come braccati da tutti, ci si va a nascondere dove si può e dove capita, disperandosi di tutto e inciampando continuamente  in errori e sciocchezze. Poi c'è un momento in cui si ripensa almeno con un filo di lucidità a ciò che si è fatto, ed è allora che ogni sforzo improvvisamente si fa assurdo, ed ogni pensiero che si può avere dentro la testa, riporta continuamente al fatto che non è un brutto sogno, e che niente sarà più come prima. Costituirsi in mezzo alle lacrime e al dispiacere diventa cosi l'unica via, ma che sorpresa sentirsi dire dopo qualche telefonata da parte delle forze dell’ordine che la propria fidanzata sta bene, che sotto alle ruote c'è andata soltanto la radice di un albero, anche se adesso tra tutto quanto resta vera soltanto quella cosa essenziale: niente, in ogni caso, sarà più come prima, proprio ad iniziare da quelle manette che scattano subito attorno ai suoi polsi.


Bruno Magnolfi