lunedì 23 novembre 2015

Risate liberatorie.

            

            Il rumore dei macchinari in funzione là dentro non è fortissimo, però è già sufficiente per costringere chiunque si trovi ad operare nel grande capannone dell’officina a parlare a voce molto alta, tanto da scoraggiare in genere qualsiasi discorso che non sia giusto una battuta di appena due o tre parole. Ai più anziani tra coloro che lavorano là dentro basta spesso una semplice occhiata per scambiarsi un intero concetto, specialmente quando si sa che da un momento all’altro potrebbe passare tra i corridoi per la verifica proprio lui, il loro responsabile tecnico. Tutti lo odiano, naturalmente, ma forse oramai più per abitudine che per un qualche motivo preciso.
Lui controlla i tempi, la qualità del prodotto, la sicurezza delle attività, il comportamento di tutti gli operai, e nei suoi confronti generalmente ci si sente già abbastanza furbi nel mostrare un certo grado di finta indifferenza verso quelle che tutti chiamano le sue stupide indagini. Si muove in mezzo ai macchinari come se sapesse perfettamente che tutti cercano di raggirare in qualche modo il suo sguardo sottile, così molte cose finge addirittura di non vederle, ma lo fa soltanto per conservare così delle carte da spendere al momento più opportuno. Già, perché il suo modo di comportarsi è quello di non obiettare mai un bel niente a nessuno, anche quando magari sta alle spalle di uno dei lavoratori per osservarne ogni movimento, forse anche perché dovrebbe quasi urlare per farsi comprendere adeguatamente, e questo non è affatto nel suo stile. Al contrario, quando l’operaio preso di mira magari non se l’aspetterebbe neanche più, o quando si vanno a sommare due o tre elementi diversi e negativi, anche pur marginali ma per lui assolutamente rilevanti, ecco che il lavoratore viene chiamato nel suo ufficio tramite gli altoparlanti, ed è lì che escono fuori in una sola volta tutti i problemi segnalati, lasciando il malcapitato a difendersi da solo in piedi davanti alla sua grande e maledetta scrivania.
Ma oggi è diverso: si è visto sin dalla mattina che qualcosa di pesante nell’aria sembra come incombere su tutta l’officina, quasi un elemento nuovo, strano, intraducibile, che perfino durante la stessa pausa pranzo, nei locali della mensa, ha imposto a tutti di parlare sottovoce, rispondendo alla sensazione diffusa di essere sospettati di qualcosa di terribile. Cinque minuti prima del termine dell’orario di lavoro difatti gli altoparlanti hanno scandito un serio avviso: siete tutti indagati, ha detto una voce metallica al microfono, nei confronti dei danneggiamenti rilevati sulla carrozzeria dell’autovettura privata del nostro responsabile tecnico aziendale. La ricaduta dei provvedimenti che verranno presi sarà un irrigidimento della direzione nei confronti di ogni lavoratore.
Nessuno commenta, tutti rimangono in religioso silenzio, ognuno sa quale sia la lucida vettura presa di mira, e forse a nessuno è venuto mai in mente nemmeno di sfiorarla. Suona la sirena del termine per quella giornata lavorativa, e gli operai raggiungono in fretta gli spogliatoi e i propri armadietti. Tutto peggiorerà adesso, dice qualcuno appena bisbigliando. Però non ha alcuna importanza: indietro non si può più tornare, perciò affronteremo la situazione così come si presenta, dice qualcuno coraggioso. Nessuno spiega che forse il responsabile tecnico se lo è proprio meritato, però tutti lo pensano, e in ogni caso chissà se verrà mai fuori davvero colui che si è macchiato di un gesto di quel genere. Timidamente uno infine avanza persino l'ipotesi che sia tutta un'invenzione della direzione per irrigidire i comportamenti nella fabbrica, ma poi qualcun altro volta gli occhi sul soffitto, e vede che è stata applicata persino lì in un angolo una micro telecamera. Non ci salveremo, dice: tanto vale farci due risate.


Bruno Magnolfi

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