lunedì 28 settembre 2015

Così com'è.

            

Carlo, dice lei. E poi basta. Fuori scende la sera, sul largo viale di fronte le gomme delle auto continuano a rotolare sul fondo umido emettendo una specie di soffio o di respiro, anche se, chiudendo loro ermeticamente le vetrate dello spazioso appartamento, rinunciano subito a far giungere fin dentro qualsiasi rumore. Lei lo osserva ancora nell'attesa di un gesto oltre la lettura distratta del giornale. Carlo però ne avverte la presenza alle spalle, e proprio per questo finge assoluto interesse per l’articolo che si ritrova sotto gli occhi.
Dobbiamo parlare, fa lei. Lui volge per un attimo lo sguardo dalla sua parte, si sistema meglio gli occhiali sul naso e gira la pagina con accuratezza, per poi decidersi a chiedere: ma di che cosa? Non so, fa lei; non facciamo mai niente, stiamo qui oscillando perennemente da una poltrona all’altra senza mai concludere neanche di coltivare un interesse per qualcosa, o di mettere a punto una qualche decisione, occuparci di un tema, di un argomento, non saprei neppure dire quale.
Ma se dobbiamo addirittura sforzarci per trovare una passione a cui affezionarci, forse anche da condividere e magari fare nostra, proprio come vorresti tu; se non è qualcosa che ci nasce spontaneamente tra i nostri desideri, come può essere qualcosa da prendere poi seriamente? Forse hai ragione, dice lei, ma io mi sento annoiata, ecco l’ho detto, anche se non avrei voluto. Vorrei fare qualcosa, anzi, provare continuamente una spinta ad occuparmi di qualche argomento. In fondo bene o male tu hai il tuo lavoro, ma alla fine a me di una giornata intera spesse volte non rimane quasi niente.
Carlo si alza, va alla vetrata, osserva il flusso del traffico mentre scorre ordinatamente. Non si sente affatto toccato dal problema di sua moglie, però prova la necessità di darle una risposta, come sempre gli succede in casi di questo genere. Si volta, la guarda, all'improvviso gli appare soltanto come una grandissima scocciatrice, una che riesce semplicemente a sollevare dei piccoli e fastidiosi problemi pressoché insolubili. Però, forse proprio per questo, va verso di lei e l'abbraccia, come se quel gesto fosse capace da solo a distendere in un unico momento qualsiasi possibile tensione.
Conosco per vie traverse una grossa associazione di volontariato, le dice a voce bassa. Potresti impegnarti con loro, dare una mano: riunioni, incontri, decisioni da prendere, sentirti utile a qualcosa di sociale, insomma. Resta in aria una pausa silenziosa, in cui è facile immaginare le macchine lungo la strada mentre sembra continuino perennemente il loro carosello. Perché no, fa lei alla fine. Potrei sempre provare, e rendermi comunque conto di quanto tempo e di quante energie riuscirebbe ad assorbirmi un'attività di questo genere, prima ancora di decidere se vada davvero bene. Certo, fa Carlo, domani cercherò con qualche telefonata di metterti subito in contatto con qualcuno di loro, anche se naturalmente stasera non posso prometterti niente di preciso.
Va bene, fa lei, mi sento già meglio al solo pensare che posso finalmente rendermi utile per qualcuno, perché al contrario questo accorgermi che il tempo per me spesso trascorre in un modo così omogeneo e insignificante mi rende depressa, apatica, quasi sofferente. 
Carlo si protende per darle un piccolo bacio sulla fronte, mentre lei ispirata e sorridente subito va verso il tavolo da fumo, e si accende con soddisfazione una delle sue sottili sigarette. In fondo ci vuole poco, dice ironica, per farmi contenta. Poi va verso il finestrone e si ferma un attimo a fissare il traffico nevrotico che scorre proprio là sotto. Il mondo privo di passione non ha alcun senso, conclude. Tutti gli altri corrono verso qualcosa, sono spinti in avanti da desideri irrinunciabili; certe volte mi pare tutto così effimero, assurdo, addirittura privo di significato; ma poi mi convinco che hanno ragione a scorrere così l'uno a fianco all'altro, proprio come quelle macchine laggiù, pare anche a te Carlo? Lui si volta senza neppure averla ascoltata, però risponde subito: certo cara; è proprio così.


Bruno Magnolfi

martedì 22 settembre 2015

Caffè pagato.

            
            Lei non guarda mai nessuno negli occhi. Cammina, tira dritto, non si sofferma in nessun caso a guardare chi si trova di fronte. Forse la sua è soltanto timidezza, dice qualcuno che la conosce giusto di vista, proprio perché magari gli è capitato di vederla passare una volta o due lungo la strada che a lei piace percorrere per recarsi al lavoro. Lui invece dalla vetrina del suo piccolo bar, sempre deserto a quell’ora, la nota ogni giorno camminare di fretta lì davanti, attraversare velocemente sul marciapiede quel minuto spazio trasparente tra gli infissi del suo locale, e sparire oltre con rapidità, insieme al ticchettare inconfondibile delle sue scarpe coi tacchi. Potrebbe entrare, pensa lui, prendersi magari un caffè, dire di sé con indifferenza che oggi non è in ritardo come spesso le capita, e che stamani si sente tranquilla, che tutto è a posto, e non ci sono problemi particolari di cui occuparsi. Sarebbe bello, forse; non ci vorrebbe proprio alcuno sforzo.
Così lui oggi l'attende sul marciapiede, sulla porta del bar, le sorride e le dice buongiorno quando lei arriva, senza insistenza, anche se lei bofonchia solo qualcosa tra sé, e in un attimo ecco che lo ha già superato, senza concedergli alcuna possibilità. Lui però allora si gira, la guarda per un istante mentre si allontana, e quasi per orgoglio le dice: signorina; lei si volta, si sofferma, lui fa un passo verso di lei; le dice che vorrebbe offrirle un caffè, gli basta vederla entrare almeno una volta nel suo piccolo locale, conoscere meglio la sua voce, osservare le sue espressioni appena per un momento. Lei resta immobile, perplessa: grazie; ma non stamani, gli risponde; ho fretta, purtroppo; e riprende come faceva poco prima a camminare sopra ai suoi tacchi. Lui la lascia, ma comunque è già contento così, qualcosa sicuramente si è come delineato, e forse niente da ora in avanti sarà più come prima, le cose con molta evidenza cambieranno velocemente, e tutto si sistemerà, così forse ci saranno momenti più rilassati tra non molto, basta soltanto avere un po' di pazienza.
Lei, senza neanche dare un giudizio troppo pesante, pensa che ci sono in giro delle persone ben strane, e in un attimo archivia così la faccenda. Poi però mentre è lì nel suo ufficio a sbrigare le solite pratiche, ecco che ci ripensa: potrebbe esserci un errore di valutazione, riflette, qualcosa subentrato chissà come a complicare le cose. Al limite potrebbe essere partito proprio da lei l'elemento iniziale, ed è questa alla fine la riflessione più forte. Analizza meglio i suoi comportamenti, e ritiene, come d’altronde tutti coloro che la conoscono un minimo, di essere troppo chiusa con gli altri, di trovarsi carente di una componente fondamentale di socializzazione. Esce, durante la mattinata, torna indietro, lungo la via, fino a quel bar. Si ferma un po’ prima, osserva l’insegna, le vetrine, ciò che dalla strada si intravede di quel bancone e dei due o tre tavoli dentro al locale. Poi si fa coraggio e va a fermarsi proprio all’entrata. Lui la nota, ma sta servendo qualcuno. Non è questo il momento, riflette, non è in questo modo che doveva avvenire.
Così continua a scherzare con i clienti che si trova di fronte, lei aspetta, ma soltanto per un attimo; poi se ne va. E’ colpa mia riflette, mentre lentamente torna sui suoi passi; riesco sempre a sporcare qualsiasi cosa mi si presenti. Ma lui è già sulla porta del bar: signorina, le dice, e lei si volta, lo guarda; il suo caffè, dice lui, e le porge sul vassoio la tazzina.


Bruno Magnolfi 

venerdì 18 settembre 2015

Destinazione.

            

            Dai ragazzo - anche se in fondo non mi sembra molto giovane - gli fo dal finestrino aperto del mio macchinone, mentre lascio agevolmente salire le gomme di destra sopra al marciapiede. Quello si volta, mi guarda e resta immobile, come se non avesse neppure fatto caso alla mia ardita manovra di parcheggio. Così gli suono, giusto per sottolineatura, ma appena un accenno, proprio mentre mi fermo ad aspettarlo, ma quello nulla, sembra proprio non capisca che in fondo deve soltanto spostarsi. Mi sbraccio dal finestrino ed urlo ovviamente qualche mala parola mentre dietro di me si è già formata una fila di tre o quattro automobili in attesa che io completi le mie comodità. Ma alla fine lui sembra muoversi, ed appena un attimo prima che io apra lo sportello e lo affronti, ecco che si gira, fa giusto due o tre passi in avanti, e mentre finalmente riesco a posizionare la mia macchina in modo che gli altri possono transitare, e spegnendo conseguentemente il motore, quello torna leggermente indietro, e con tutta normalità si appoggia al mio faro, dandomi le spalle.
            Via, togliti di torno, gli dico senza enfasi mentre sono già coi piedi sopra al marciapiede, ma quello mi getta uno sguardo come se neppure mi vedesse, ed anzi, lo fa mentre si accende una sigaretta con tutta la calma di questo mondo. Ti conosco, fa lui senza più guardarmi; non esagerare con me perché so perfettamente come fregarti. Resto perplesso, questo non l’ho mai visto, penso, però potrebbe essere vero quello che dice, così mi avvicino e gli tocco una spalla come se lo avessi riconosciuto, dicendogli anche che se volesse prendersi un caffè con me nel bar di fronte, glielo potrei offrire molto volentieri. Lui però non dice niente, si limita a guardare altrove, poi sputa a terra e prende una boccata di fumo. Alla fine sottovoce spiega che dobbiamo andare via da lì, siamo sicuramente sott’occhio a qualcuno, non possiamo parlare con comodità.
            Rifletto al volo che questo mi ha scambiato per un chiunque che non sono io, così gli dico: tu vaneggi, adesso io mi prendo un bel caffè, con te o senza di te, e poi me ne vado per i fatti miei, è tutto chiaro? Ma il tizio si muove dal faro, apre lo sportello del passeggero momentaneamente rimasto senza sicura, e sale su, senza darmi altre spiegazioni. Torno al posto di guida giusto per chiarire le cose, ma la voglia del caffè mi è già passata, perciò rimetto in moto per automatismo, ed ingrano la marcia. Andiamo sui viali, fa lui; e tieniti sempre sulle corsie di sinistra, così nessuno ci nota. Vado avanti, attendo che questo tizio dica qualcosa che per me non abbia alcun senso, in modo da potergli spiegare che si è sbaggliato di persona, ma lui sta zitto, abbassa il finestrino e getta via la cicca. Si è piazzato sopra al naso un paio occhiali scuri, si guarda attorno, e non sembra neanche attendersi che io chieda qualcosa. Con il dito mi indica un paio di volte la direzione giusta, e mentre inizio ad essere un po' stufo di tutta questa storia, mi fa cenno di rallentare. Osserva qualcosa che non riesco neanche a comprendere, ma mi ritrovo perfino io a guardare nella sua stessa direzione, proprio perché mi aspetto da un momento all'altro che la spiegazione di tutto magari sia proprio lì, sotto ai miei occhi.
Andiamo ancora avanti, sto pensando di decidermi finalmente a smuovere le cose e dirgli che adesso proprio basta, c'è stato soltanto un malinteso, io ho altro da fare che stare in giro, e che con lui ho perso persino troppo tempo, quando il tizio mi fa segno di fermare. C'è il semaforo rosso, sembra accennarmi, cosi ci fermiamo tutti, una gran fila di macchine, ma lui senza guardarmi apre il suo sportello, sembra quasi con circospezione, devo dire, e poi subito scende, richiude, se ne va. Resto inebetito: forse è arrivato, penso.


Bruno Magnolfi