Già
al primo gradino della scalinata di pietra che conduce proprio alla piazzetta
di sotto, dove si fermano gli autobus, mi sono subito reso conto che qualcosa
non stava andando come avrebbe dovuto, racconta Eros dal suo letto d’ospedale.
Ero arrivato fin lì forse con una fretta eccessiva, ma l’ho fatto soltanto per
evitare di perdere la solita corsa del mezzo pubblico su cui salgo ogni giorno,
per non giungere tardi al lavoro insomma, e con altrettanta leggerezza, pensando
contemporaneamente a mille altre cose, all’improvviso ho avvertito come il peso
del mio corpo che si stava praticamente sbilanciando, ed a quel punto ero già forse troppo proteso in
avanti, tanto che quando ho allungato il mio piede destro per cercare di
riequilibrarmi, in quell'esatto momento ho subito immaginato che stavo ormai
per cadere sopra ai gradini. La mia scarpa difatti è inciampata in qualcosa, in
una sciocchezza qualsiasi, in un niente, proprio nello stesso attimo in cui
anche la fiducia nella mia capacità di riequilibrio perdeva del tutto
consistenza; e poi naturalmente da lì a rovinare a faccia in giù è stato giusto
un secondo.
Non
ha importanza il resto, dice ancora Eros; ora sono qui, e tutti fino adesso
sono stati cortesi con me, soccorrendomi e medicandomi come meglio di cosi non
potevano fare; ma è in questo momento che sento di aver perso per sempre la
convinzione che riponevo in me, nel mio saper muovermi, camminare, correre, andare
dappertutto senza problemi, lungo tutte le strade della città, come ho sempre
fatto fino ad adesso. Mi sento demoralizzato, questo è il punto, e non ha
assolutamente nessuna importanza guarire più o meno in fretta dalla frattura
scomposta a questa stupida caviglia.
Il
compagno di stanza lo ascolta, alza le folte sopracciglia, segue per bene il
suo ragionamento, ma non dice a sua volta quali siano le preoccupazioni che lo assillano, quali i suoi
malesseri, o i pensieri ai quali si rivolge, come forse lui in un'occasione del
genere si sarebbe aspettato. Perché quasi quasi Eros avrebbe voglia di svago,
di ascoltare altre cose, liberarsi in parte la mente da quel suo opprimente
pensiero. Al contrario, l'altro dice soltanto che in fondo tutto in certi casi
assume un suo senso, e che una battuta di arresto ogni tanto forse ci vuole, è
quasi benefica, anche per far rientrare nel proprio alveo naturale la troppa
spavalderia, quel sentirsi persino troppo sicuri di sé. Eros lo interrompe,
sostiene subito che non ha mai provato prima una sensazione del genere, e che
in fondo non è neppure mai stato troppo sicuro di sé e delle sue capacità,
anche se adesso effettivamente tutto gli pare sfuggirgli di mano, quasi fosse
all’improvviso addirittura un’altra persona.
L'altro lo
guarda, probabilmente comprende i suoi sentimenti, ma ugualmente sembra non
dare troppa importanza a quelle inquietudini eccessive, come se tutto dovesse
sistemarsi comunque, indipendentemente da ogni congettura. Non c'è da
preoccuparsi, gli dice; l'aspetto che nasce da una piccola vicenda del genere è
quello per cui siamo tutti estremamente vulnerabili, inutile pensarla
diversamente. Eros ascolta, e infine lo guarda più attentamente: se ci riflette
un po' meglio gli pare quasi di avere già conosciuto in passato una persona
come adesso gli appare quel casuale vicino di letto. Ma resta in silenzio,
pensa qualcosa, ed alla fine dice soltanto: si, è proprio così; senza avere neppure
altro da dire.
Bruno Magnolfi
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