lunedì 15 giugno 2015

Fiducia latente.

            
            Già al primo gradino della scalinata di pietra che conduce proprio alla piazzetta di sotto, dove si fermano gli autobus, mi sono subito reso conto che qualcosa non stava andando come avrebbe dovuto, racconta Eros dal suo letto d’ospedale. Ero arrivato fin lì forse con una fretta eccessiva, ma l’ho fatto soltanto per evitare di perdere la solita corsa del mezzo pubblico su cui salgo ogni giorno, per non giungere tardi al lavoro insomma, e con altrettanta leggerezza, pensando contemporaneamente a mille altre cose, all’improvviso ho avvertito come il peso del mio corpo che si stava praticamente sbilanciando, ed  a quel punto ero già forse troppo proteso in avanti, tanto che quando ho allungato il mio piede destro per cercare di riequilibrarmi, in quell'esatto momento ho subito immaginato che stavo ormai per cadere sopra ai gradini. La mia scarpa difatti è inciampata in qualcosa, in una sciocchezza qualsiasi, in un niente, proprio nello stesso attimo in cui anche la fiducia nella mia capacità di riequilibrio perdeva del tutto consistenza; e poi naturalmente da lì a rovinare a faccia in giù è stato giusto un secondo.
            Non ha importanza il resto, dice ancora Eros; ora sono qui, e tutti fino adesso sono stati cortesi con me, soccorrendomi e medicandomi come meglio di cosi non potevano fare; ma è in questo momento che sento di aver perso per sempre la convinzione che riponevo in me, nel mio saper muovermi, camminare, correre, andare dappertutto senza problemi, lungo tutte le strade della città, come ho sempre fatto fino ad adesso. Mi sento demoralizzato, questo è il punto, e non ha assolutamente nessuna importanza guarire più o meno in fretta dalla frattura scomposta a questa stupida caviglia.
            Il compagno di stanza lo ascolta, alza le folte sopracciglia, segue per bene il suo ragionamento, ma non dice a sua volta quali siano le  preoccupazioni che lo assillano, quali i suoi malesseri, o i pensieri ai quali si rivolge, come forse lui in un'occasione del genere si sarebbe aspettato. Perché quasi quasi Eros avrebbe voglia di svago, di ascoltare altre cose, liberarsi in parte la mente da quel suo opprimente pensiero. Al contrario, l'altro dice soltanto che in fondo tutto in certi casi assume un suo senso, e che una battuta di arresto ogni tanto forse ci vuole, è quasi benefica, anche per far rientrare nel proprio alveo naturale la troppa spavalderia, quel sentirsi persino troppo sicuri di sé. Eros lo interrompe, sostiene subito che non ha mai provato prima una sensazione del genere, e che in fondo non è neppure mai stato troppo sicuro di sé e delle sue capacità, anche se adesso effettivamente tutto gli pare sfuggirgli di mano, quasi fosse all’improvviso addirittura un’altra persona.
L'altro lo guarda, probabilmente comprende i suoi sentimenti, ma ugualmente sembra non dare troppa importanza a quelle inquietudini eccessive, come se tutto dovesse sistemarsi comunque, indipendentemente da ogni congettura. Non c'è da preoccuparsi, gli dice; l'aspetto che nasce da una piccola vicenda del genere è quello per cui siamo tutti estremamente vulnerabili, inutile pensarla diversamente. Eros ascolta, e infine lo guarda più attentamente: se ci riflette un po' meglio gli pare quasi di avere già conosciuto in passato una persona come adesso gli appare quel casuale vicino di letto. Ma resta in silenzio, pensa qualcosa, ed alla fine dice soltanto: si, è proprio così; senza avere neppure altro da dire.

Bruno Magnolfi


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