giovedì 7 maggio 2015

Fine del periodo.

            

            Lei aveva soltanto venti anni quando si era messa con il signor Mario che abitava al piano sopra l’appartamento dei suoi genitori, mentre lui aveva già superato abbondantemente i quaranta. Naturalmente tutto era stato fatto ed era proseguito in grande segreto, tenendo conto di orari, situazioni, possibilità. Lui svolgeva una normale attività di commercialista, ed era regolarmente sposato con una gentile signora che lei salutava cortesemente ogni volta che incontrava lungo le scale, sorridendo anche al figlio sempre tenuto per mano, che frequentava già la scuola primaria.
            Lei era soltanto una studentessa al quarto anno di lettere. Con tutte le limitazioni ed i rischi che c’erano, di fatto loro erano riusciti a vedersi pochissimo, concordando sempre i tempi esatti in cui lui riusciva a rimanere in casa da solo, quando lei, spesso con tutta la fretta possibile, ed accampando sempre delle scuse generalmente banali per uscire, poteva fare le scale e raggiungerlo. Tutto durava sempre ben poco, giusto il tempo di scambiare qualche dolcezza, spogliarsi in fretta, e poi via, un ultimo sguardo, ed ognuno per conto proprio.
            Oggi è trascorso poco più di un anno da quei primi tempi, e lei ha diradato le volte in cui sale nell’appartamento del signor Mario, come continua a chiamarlo. Le piace ancora ritrovarsi con lui, sistemarsi con calma su quel divano in salotto, e poi sciogliere con lentezza il nodo della sua cravatta, come fosse un inizio già concordato, e con due parole fare un po’ la sciocchina; ma tutto, negli ultimi tempi, sembra ormai diventato come una qualsiasi abitudine.
            E’ una storia da chiudere, pensa lei qualche volta, anche quando è lì, proprio su quel divano; ma non riesce mai a decidersi. Così rimanda sempre qualsiasi iniziativa. Loro non parlano, non hanno mai parlato di niente, se non sottovoce delle cose essenziali per tornare a vedersi. Affrontare adesso quell’argomento, cercare addirittura di spiegarsi, di farsi capire, è qualcosa che almeno a lei torna addirittura innaturale. Così lascia perdere, rimanda, evita il tema.
Di quella relazione lei non ne ha mai parlato con nessuno, d'altronde non ha certo avuto bisogno di comprensioni, e neppure di pareri scandalizzati da parte di amici o colleghi di corso. Però adesso non sa cosa fare, oscilla tra un pensiero e quell'altro, e qualche volta sente il bisogno di confidarsi con qualcuno sentendo mancare almeno in parte la voglia di salire le scale. In fondo si crogiola in questa indecisione, ed anche se da un lato sa che deve prima o dopo affrontare la cosa, dall’altro tende spontaneamente a rimandarla. Sa che ha troppo da guadagnare chiudendo quella storia, lo comprende benissimo. Ed a volte si dice tra sé che non avrebbe mai dovuto neppure iniziarla, anche se si giustifica che è stato un fatto d’istinto, senza una vera scelta di fondo.
Ora sta studiando in camera sua, su un vecchio testo di Schlegel, quando gli giunge la vibrazione di un messaggio sul suo cellulare. E’ il segnale, adesso può salire da lui, dal suo signor Mario; lei si prepara, dice qualcosa alla mamma, prende dei libri con sé per avere almeno una copertura, poi apre la porta. Lui la riceve, la guarda, l’abbraccia, dice subito però che è l’ultima volta. Lei è sorpresa, prova una vertigine, un improvviso terribile senso di abbandono, forse ingiustificato: ma poi lo stringe un attimo, racchiude tutto in un gesto, e infine se ne va, senza rispondere niente; così si chiude un periodo.


Bruno Magnolfi

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