giovedì 30 aprile 2015

Futuro deciso.

            

Gli uomini tenevano quasi tutti lo sguardo voltato verso la medesima direzione, come dovesse arrivare proprio da là ciò che attendevano. Le donne no, loro guardavano a terra, come a cercare quasi di nascondere gli occhi. Infine qualcosa forse accadde, ed i più se ne andarono svogliatamente per la loro strada, lasciando la piazza quasi deserta. Un giovanotto affacciatosi sull'uscio del caffè disse che a lui interessavano poco quei modi d'altri tempi di manifestare le proprie idee. Nessuno di fatto gli rispose, ma una ragazza lo guardò con sospetto, come se da lui venissero molti dei problemi che attanagliavano quella comunità. Alle finestre del palazzetto degli uffici comunali, proprio di fronte, nessuno aveva il coraggio di farsi vedere, ed anche se la protesta dei cittadini era già sicuro che sarebbe proseguita nei giorni a seguire, di fatto si immaginava che le autorità là dentro avrebbero continuato il loro lavoro come se niente stesse accadendo.
Quattro o cinque persone rimaste in piedi sul lastricato parlavano tra loro, ed una donna aveva detto ad un tratto a voce più alta che avrebbero dovuto rompere gli indugi ed andare a trattare le loro ragioni direttamente con lui, col signor Ferri. Naturalmente nessuno dei presenti pareva d’accordo, e così, assieme ad un'altra, lei si era staccata poco dopo dal gruppo per entrare a passo svelto dentro all’edificio, decisa ad affrontare la situazione a viso aperto. Soltanto dopo una buona mezz’ora  la si vide riuscire da lì, l'espressione perplessa, la camminata lenta, di chi forse ha ottenuto qualcosa, oppure no, ed adesso non sa neanche più che pesci pigliare.
Qualcuno dal caffè proseguiva ad osservarla, come cercando conferme a ciò che aveva già immaginato. Ma infine uscì dal palazzo il signor Ferri in persona, raggiunse frettolosamente la donna ancora sulla piazza, le disse qualcosa, e tutti sentirono dentro di loro quasi il cuore fermarsi, come se qualcosa di estremamente importante stesse accadendo. Poi il signor Ferri, dopo una rapida stretta di mano, si allontanava, lei si volgeva verso il caffè, qualcuno si fermava sul marciapiede, come per assistere allo spettacolo di una donna che aveva osato sfidare un potente. Lei si osservava più volte attorno a sé, lo sguardo fermo, l'espressione di chi sa di aver svolto fino in fondo quello che reputa il proprio dovere. Non c'era niente da dire, molti pensavano che se anche le cose non si fossero sistemate, in ogni caso la prova di dialogo portata avanti avesse già dato i suoi frutti, e che adesso in fondo si trattava soltanto di proseguire con determinazione.
Lei, parlando assieme all’altra, entrava allora con calma dentro al locale, mentre tutti si facevano da parte per lasciarla passare; il cameriere le puliva un tavolo e si metteva a loro completa disposizione, e le loro consumazioni, qualsiasi fossero state, risultavano subito e assolutamente a carico d’altri. Non ci volle molto, in un attimo arrivarono tutti, e molti sembravano voler festeggiare quanto avvenuto come una grande vittoria, anche se non era così. Si disse subito che quella donna rappresentava il futuro, che bisognava darle più spazio, la possibilità di parlare, di esprimersi, di rappresentare anche coloro che non erano stati neppure all’altezza della situazione.
Si guardò attorno, lei, più di una volta; non le sfuggiva nulla di quanto era accaduto, ma all’improvviso pareva perplessa di quanto stava effettivamente accadendo. All’improvviso il locale era pieno, tutti erano in piedi intorno al suo tavolo, chiunque voleva sapere qualcosa di più, capire dove stava davvero il miracolo, per cosa effettivamente c’era da sentirsi così elettrizzati. Lei si alzava in piedi, allora, lentamente, mentre intorno, poco alla volta, si faceva silenzio. Un leggero sorriso, una briciola di timidezza, schiarirsi la voce, prendere fiato, un’occhiata veloce d’attorno; poi le parole: grazie a tutti, davvero, ma il signor Ferri ha detto che non è d’accordo con le nostre richieste. Sarà tutto inutile, secondo lui: coloro che contano hanno già deciso quale sarà il nostro futuro.


Bruno Magnolfi  

lunedì 27 aprile 2015

Realismo nella preghiera.



Certe volte da sola lei si mette a pregare, anche se a dire la verità lo fa soprattutto per abitudine, e forse anche per tenersi compagnia, utilizzando quei pochi e misurati gesti che questa attività le comporta come se fossero quasi delle medicine; e poi scegliendo con accuratezza sempre gli stessi atteggiamenti, quelli probabilmente che reputa fondamentali, oppure anche gli altri, per un motivo o per l’altro, a cui si sente maggiormente legata. In alcune situazioni difatti le pare addirittura che la solitudine che prova sia troppo forte per lei, ed in certe giornate che si faccia addirittura insostenibile, odiosa, come se la sua esistenza non avesse mai neppure in un caso meritato davvero qualcosa del genere.
Ed è allora che si siede sulla sua seggiola preferita, accanto alla finestra, e guarda senza neanche troppa curiosità le persone che camminano svelte o svogliate lungo la strada, cominciando a bassa voce ad inventare delle frasi che probabilmente in mezzo alla gente soltanto lei reputerebbe religiose: parole che tengono conto indubbiamente del rispetto per gli altri, ed aspirano senz’altro al bene di tutti, che sono solidali con le sofferenze del mondo, e con estrema semplicità anelano addirittura ad un futuro migliore, indicando una buona prospettiva almeno a quelle persone che proprio in quel momento stanno passando davanti alla sua finestra. Normalmente non chiede niente per sé, anche se in questa maniera si sente meno sola, alleviata del suo piccolo dolore; però in questo modo sa di essere estremamente generosa, altruista, protesa verso il suo prossimo.
Questo è quello che fa, trattando le persone che vede passare come se fossero dei veri e propri amici, dei sicuri conoscenti, individui con i quali scambiare con naturalezza molti dei propri pensieri. Parla con loro certe volte, senza che gli altri possano minimamente immaginare la sua attività, ed in questo modo lei, che in fondo non si sente propriamente parte attiva della realtà che intravede, dimostra a se stessa che il suo desiderio più profondo è semplicemente quello di essere proprio una come gli altri, una che riesce a vivere esattamente come tutti. Forse dentro di sé prega anche per questo, anche se spesso avverte profondamente la distanza che c’è tra la sua finestra e la strada.
Qualcuno poi suona alla porta, lei apre con timidezza, e trova un suo vicino di casa, uno con il quale certe volte si ferma a parlare lungo le scale, che qualche volta le pone delle domande generiche, e che adesso le chiede se per caso stia bene, se per lei sia tutto a posto. Certo, gli risponde con naturalezza: stavo adesso recitando le mie preghiere, quindi è chiaro che sto benissimo, che sono in pace con tutti. Ecco, fa lui accomodandosi nell’ingresso mentre la donna chiude la porta, è proprio di questo che volevo parlare: io non me ne intendo molto di queste cose, e così mi chiedevo se potevo magari unirmi a codeste preghiere, dire anche io qualche cosa, magari seguendo poco per volta le medesime parole. Lei lo guarda, le pare una terribile scocciatura quella che le sta capitando, eppure a questo punto pensa che non può neppure tirarsi indietro, anzi deve assolutamente mostrare quanto questa idea assurda le appaia persino congeniale.
Va bene, dice subito, preghiamo insieme, dedichiamo le nostre parole a qualcosa che valga davvero il nostro tempo, e dedichiamo al soprannaturale i nostri sforzi. Così si siedono, lei tira fuori un vecchio libretto stampato e subito glielo porge. Ma poi inizia a dire che le parole là sopra sono semplicemente da interpretare, e così gli parla di quel ragazzo con il maglione giallo che sta passando sul marciapiede. Vorrei tanto per lui una giornata magnifica, dice sorridendo, piena di cose positive, e che i suoi desideri diventino realtà. L’uomo non comprende, però la segue, osserva anche lui fuori dalla finestra. Ma poi si alza, dice che ha ben compreso il senso della sua attività, e che adesso può anche andarsene, fare persino da solo le medesime cose. La donna non lo trattiene, forse marginalmente reputa addirittura di averlo deluso, ma in fondo neanche questo le sembra un fatto troppo importante.


Bruno Magnolfi

mercoledì 22 aprile 2015

Fine della guerra.

            

            Sembrano proprio giungere dal viale che costeggia la stazione ferroviaria, i colpi di arma da fuoco che in un attimo ammutoliscano chiunque si trovi nelle vicinanze. Lui spalanca gli occhi, si guarda attorno per un attimo, poi si getta a terra e resta giù, a testa bassa, riparato alla meglio dal muretto di cinta lì accanto. Bisogna andarsene da qui, pensa, mentre altri colpi più radi vengono esplosi: ma non c’è neppure un vero posto dove rifugiarsi, e poi neanche si capisce effettivamente chi stia sparando, contro che cosa, per quali scopi. Non si muove, resta fermo dove si trova, nell’angolo fetente di urina vecchia, pieno di sporco e di immondizia, e intanto riflette.
            Poi c’è una tregua, si sente della calma nell’aria, qualcuno poco lontano parla a voce alta, sembra addirittura non provare alcuna tensione mentre dice parole di fuoco. Lui si alza in piedi, il minimo che serve, guarda rapidamente in tutte le direzioni, cercando di comprendere quale sia l’elemento essenziale dal quale difendersi, ma senza riconoscere alcuno spiraglio di aiuto nella realtà che riesce a sbirciare. Arriva un tizio di corsa, si mette giù insieme a lui, dice che c’è ben poco da fare, dovranno aspettare almeno la notte prima di poter abbandonare la loro postazione. Lui annuisce, poi sente parlare l’altro in una lingua straniera con qualcuno poco distante, così rimane in silenzio, non sa proprio cosa ci sia di meglio da fare.
            Si vede passare a grande velocità una camionetta militare lungo il viale, ma una raffica di mitra la raggiunge, una gomma scoppia, si sente fragore di macchine incidentate, poi di nuovo il silenzio e una piccola nuvola di fumo che si alza. Pare sia iniziata la guerra, dice lui tra sé ma ad alta voce. No, dice l’altro rimasto vicino: forse c’è stato soltanto l’assalto ad una banca del centro, magari, oppure è stato fatto un attentato ad un sito sensibile. Va bene, fa lui, ma adesso cosa facciamo? Niente, dice l'altro, è meglio non prendere alcuna iniziativa. Passano i minuti, qualcuno riprende a parlare con voce alta, non molto lontano, come fosse la voce fuori campo di un film. La situazione di stallo creata pare addirittura comica: lui immagina decine di persone nascoste là attorno, qualcuna magari ben vestita, con mille affari improrogabili da sbrigare; ed altri sfaccendati invece pronti a dormicchiare in qualche cantuccio, senza grandi preoccupazioni.
            Lui riflette, ma i suoi pensieri non lo portano ad architettare alcuna iniziativa, così chiude gli occhi per un attimo, raccoglie le forze e si concentra. Subito dopo si alza in piedi, di scatto, e poi inizia a correre, senza neppure sapere perché né verso dove. Non passa molto, giusto due o tre secondi per prendere lo slancio, poi nella sua corsa disperata si getta lungo il viale, quasi per una sfida a se stesso o verso gli altri, come per mostrare che è ancora possibile infischiarsene di tutto, è ancora possibile sentirsi liberi di affrontare a viso aperto una realtà ostile, che ci vuole continuamente in fuga, oppure sempre al riparo, praticamente privi di qualsiasi barlume di coraggio. Corre in mezzo all’asfalto, lui, ma proprio in quel momento qualcuno inizia a sparare, e si avvertono distintamente i colpi di fucile, sembra quasi di vedere i cecchini appostati che prendono la mira, lo inquadrano, mentre contemporaneamente qualcun altro là vicino inizia a imprecare, gli intima a voce alta di fermarsi, perfino di alzare le mani in segno di resa.
            Quando cade è proprio nel mezzo, lo vedono tutti, e tutti trattengono il fiato: forse è stato colpito, forse è soltanto inciampato. Sfuma nell’aria un attimo di sospensione, in molti probabilmente non riescono ancora a respirare, e scrutano in terra per riuscire a vedere un rivolo di sangue che mostri la sua fine. Ma lui invece si rialza, zoppica, si guarda attorno, raggiunge il largo marciapiede di fronte, poi il colonnato, fino a raggiungere l’angolo; e poi se ne va.


           Bruno Magnolfi

martedì 21 aprile 2015

Luci della sera.

            

            Lui quel giorno veniva a trovarti, nel tuo piccolo appartamento in affitto, e quella sarebbe stata la sua ultima volta. Quando ti aveva conosciuta, eri separata da tuo marito soltanto da un anno o poco più, e in fondo avevi reagito abbastanza bene alla profonda negatività della situazione. Qualcuno che conoscevi da lunga data aveva messo su un minuscolo bar per uffici tutto per te, dove avevi iniziato a fare caffè e a servire aperitivi, trascorrendo tutti i pomeriggi feriali tra le chiacchiere e le battute di spirito degli impiegati che venivano da te. Naturalmente in quel periodo quasi ti buttavi via, cambiando cavaliere in pratica ogni sera, e tirando tardi quasi ogni notte nella ricerca spasmodica di dimenticare tutto il tempo trascorso a cercare di costruire una famiglia.
            Ridevi molto dentro a quegli abiti ridotti ed aderenti; fingevi sempre di divertirti in quel periodo, e forse ci riuscivi. Poi era arrivato lui, più serio, pensieroso, giungendo nel locale per puro caso. Era entrato nel tuo bar assurdo, piccolissimo, al primo piano di quel grande palazzo pieno di uffici, osservando a lungo il tuo sorriso ed anche i tuoi modi di persona così tanto presente da essere distante. Te lo aveva chiesto con cortesia il giorno successivo, quando era tornato, per poi iniziare ad uscire qualche volta insieme a te, con naturalezza, aspettandoti di sotto, lungo la strada, all’ora di chiusura degli uffici e del tuo locale.
            Adesso era arrivato fin lì in un gran silenzio, solo telefonandoti qualche giorno prima per quell’appuntamento, e ti aveva portato qualcosa, un sottile braccialetto senza valore che avevi dimenticato chissà quando dentro la sua macchina. Forse quella era soltanto una scusa, un motivo per vederti un’altra volta. Tu eri rimasta un po’ in silenzio, con il tuo solito mezzo sorriso stampato sulla faccia, poi gli avevi fatto una domanda generica su come gli andavano le cose. Lui si era accostato alla finestra, forse chissà, per cercare di ricordarsi di qualcosa, oppure per stabilire dei punti fermi nel cielo notturno della città. Era stato allora forse che erano partite le strisciate di luce verso oriente, come gruppi di stelle che si fossero mosse contemporaneamente da un lato all’altro. Tracce di aeroplani velocissimi che avevano rigato il cielo notturno lungo traiettorie rettilinee, e fuochi d’artificio immensi e lontani, mai visti prima, che avevano illuminato tutta l’atmosfera e i suoi vapori poco sopra l’orizzonte.  
            Tu non ti eri accorta di niente, lui ti aveva chiamato per mostrarti quanto stava accadendo, ma tu gli avevi solo sorriso, gli avevi accarezzato un braccio senza dargli retta, guardando dolcemente il suo profilo. Lui non aveva più insistito, ma era rimasto ad osservare quanto stesse succedendo fuori da quella tua finestra, fino a quando non si era girato verso di te, dicendoti semplicemente ciao, quasi senza impegno, sfiorando la pelle del tuo viso con le labbra, ed uscendo per sempre dall’appartamento e dalla tua vita. Qualcosa allora ti aveva fatto reagire, come se un’eco di quelle luci strane in cielo fosse improvvisamente passata anche dentro te.
            Lo avevi guardato allontanarsi nelle fioche luci del vialetto, da quella stessa finestra dov’era stato poco prima, ed allora avevi visto anche tu il cielo incendiarsi di strisce e di colori. Forse avresti voluto chiamarlo, farlo tornare indietro, ma sarebbe stato tutto inutile, ed anche se ti eri imposta di non piangere, ugualmente adesso avresti voluto farlo, come probabilmente stava facendo persino lui, mentre per sempre se ne andava.


            Bruno Magnolfi

giovedì 16 aprile 2015

Frammenti di antigiornalismo.



L'individuo posto in evidenza spiega che semplicemente non ha niente a che fare con quanto accaduto nei pressi di via Mazzini. Interrogato con insistenza, sostiene che non sa neppure con esattezza da quale parte rimanga questa strada. O meglio, come cittadino lo sa, la conosce, ma non è una via lungo la quale si trovi normalmente neppure a transitare. Eppure, approfondendo le informazioni su questo soggetto, ne viene fuori che in un breve periodo trascorso non tantissimi anni fa, lui abbia addirittura frequentato una ragazza che abitava in quella stessa strada, anche se lei è risultata effettivamente del tutto estranea alla vicenda. L'individuo di fronte alle domande non è mai apparso sulla difensiva, anche se sono state fatte allusioni abbastanza forti sulla sua condotta morale e su quanto accaduto. Infine è stato ritenuto probabilmente estraneo ai fatti, e con ciò gli si è concesso di tornarsene tranquillamente a casa propria. E’ comunque evidente come gli sia stato immediatamente messa alle calcagna una persona di fiducia che ne seguisse almeno i primi movimenti, ma si deve annotare che in effetti, se non altro nella serata in questione, non è accaduto niente di particolarmente rilevante, essendo lui rimasto praticamente in casa senza farsi pubblicamente più vedere.
La prima telefonata che affronta l'individuo, una volta rimasto solo, è per la propria fidanzata che in questi giorni si trova fuori città per ragioni di lavoro. Le dice quanto accaduto cercando di non calcare troppa importanza sui singoli dettagli; lei gli chiede subito qualcosa, ma infine parlano di altro, e lui riesce perfino a ridere di un paio di espressioni scherzose usate dalla donna. Quando infine riagganciano, il soggetto si siede per qualche attimo sulla sua poltrona di casa, ma poi torna ad indossare la giacca e ad uscire, inforcando un paio di occhiali scuri e calzando sulla testa un suo vecchio cappello, stratagemmi che evidentemente gli permettono di sfuggire alla persona di controllo intravista da lui stesso in strada poco prima. Via Mazzini non è lunga, l’uomo la percorre interamente senza notare niente di particolare. Poi torna indietro a piedi, lentamente, ed allora vede che proprio sul muro vicino ad un caffè, c'è rimasto ancora scritto qualche cosa. Vattene, si dice lì con la vernice rossa, anche se poi non è riportato alcun riferimento.
Si potrebbe pensare ad un'intimidazione, ma si sostiene che è proprio l'insistenza con cui il soggetto ha cercato di frequentare quel locale, pur essendo elemento manifestamente indesiderato in quell'ambiente, che ha fatto scaturire un chiaro clima di esasperazione. Certi gesti vanno evitati, si dice da più parti, non si può sempre cercare la provocazione. In tutto questo probabilmente sarebbe necessario indagare ulteriormente sulla presunta appartenenza dell’individuo a gruppi di estrazione non identificata, uomini e donne autodefiniti liberi, capaci di ridere di tutto, persino davanti ad un caffè o ad un aperitivo. Non è affatto chiaro il motivo che nella serata in questione ha portato effettivamente l’individuo ad appostarsi in quel locale di via Mazzini, ma anche se legittimo, è notorio come quel tipo di comportamento sia sbagliato.
Il soggetto citato presumibilmente si ricorda, anche se con una certa approssimazione, di essersi recato almeno quella volta dentro al bar. Il suo comportamento, anche se non se ne conoscono i dettagli, in quel caso è reputato subito apertamente sconveniente dagli astanti, qualcuno dei presenti addirittura può avergli detto nell’occasione che la sua faccia era antipatica, i suoi modi odiosi, la sua persona nel complesso indesiderata. Ecco, questi sembrano già molti degli elementi a fondamento di quanto accaduto, anche se si può essere d’accordo su come in fondo non sia successo niente di assolutamente irreparabile. Ciò non toglie che certi atteggiamenti, da parte di tutti quanti gli attori dei fatti segnalati, siano assolutamente assurdi, nefasti, deprecabili, in una società come la nostra, ormai sempre più priva di valori e di riferimenti.

Bruno Magnolfi


lunedì 6 aprile 2015

Fuori sintonia.



Non lo so, dice lei al telefono, interpellata  con quella chiamata improvvisa da un dirigente dell’amministrazione pubblica che neppure conosce. Vede, cerca ancora di spiegare, non mi sono mai preoccupata di cose del genere: non ne so niente, questo è il punto, e se devo essere del tutto sincera, aggiunge con con un accenno di sorriso che l'uomo naturalmente non può vedere, non me ne importa proprio nulla, proprio perché sono cose che non mi riguardano, ecco. Comunque non sono io che ho parlato per la prima volta di corruzione e di cose del genere, riflette poi tra sé; è stato il mio collega, che adesso peraltro si è anche messo in malattia. Sicuramente ha sbagliato, ha usato delle parole improprie, ha forse detto quelle cose rispondendo soltanto ad un impulso di rabbia, senza razionalità, senza alcuna riflessione, ed è questa probabilmente tutta la verità dei fatti.
L’uomo al telefono dice ancora qualcosa di poco incisivo interrompendo in parte quei suoi pensieri, poi però la saluta freddamente e quindi riaggancia. Non c'è niente di male, pensa ancora lei, quando si dice tutto ciò che si sa, senza tenere nascosto proprio niente. Il fatto è che quando ci si muove su certi terreni risulta anche facile scivolare. Cercare di fare una cattiveria di quel tipo al proprio capufficio, pur restando un tipo odioso e sostanzialmente ingiusto con tutti i suoi collaboratori, è qualcosa che sconcerta: lascia talmente perplessi che diventa facile prendere addirittura le difese di chi subisce una cosa del genere.
La donna è perfettamente cosciente di non essersi mai trovata a proprio agio in quell'ambiente, nonostante siano anni che lavora come impiegata in quegli uffici, senza peraltro avere mai fatto alcuna carriera; ma non può certo fare a meno di quella sua occupazione, con i problemi economici che si ritrova, e cosi deve andare avanti come sempre, e proseguire alla meglio, cercando in ogni caso almeno di non far peggiorare le cose, ed in tutto ciò la qualità della sua vita lavorativa risulta quasi un elemento marginale.
Però non sa neppure che posizione prendere per quanto concerne la situazione creatasi: sicuramente a breve saranno adottati dei provvedimenti, qualcuno nei giorni a seguire indagherà ulteriormente, e quindi faranno ancora delle domande, e poi supposizioni, e lei dovrà sempre cercare di non cadere mai in contraddizione, qualsiasi cosa le chiederanno. Forse le converrà prendere addirittura le difese del suo superiore, probabilmente, anche se soltanto un’idea di quel genere le risulta al momento quasi insopportabile.
Torna a suonare il suo telefono sopra la scrivania: ancora qualcuno dell'amministrazione, probabilmente, pensa lei, forse hanno già aperto un'inchiesta interna; e difatti è una donna, adesso, che si qualifica subito con grandi titoli ma con molta gentilezza, e poi dice che vuole soltanto sapere se si sono mai viste delle persone estranee all'ufficio circolare da quelle parti. Lei dice di si, certamente, ci sono stati periodi in cui è arrivato sicuramente qualche personaggio mai visto prima, ma forse è normale, aggiunge quasi con slancio, pentendosi però immediatamente di aver detto così. L’altra le chiede cosa ci sia di normale nell’approfittarsi di una buona posizione lavorativa, ma lei non sa spiegarlo, così si impappina e alla fine resta in silenzio. Vorrebbe piangere mentre l’altra le dice con molta serietà che passerà di persona dal suo ufficio, ma proprio mentre sta riattaccando la sua cornetta, le viene da dire d’impulso: venga pure, dottoressa, io tanto non ho paura di lei; e se proprio vuole saperlo, non ho neppure paura di rassegnare adesso le mie dimissioni, visto che qui forse ci sono soltanto per sbaglio, ed in questo mestiere non sono mai stata apprezzata.


Bruno Magnolfi