domenica 16 novembre 2014

Parole senza spessore.

            
            Mario è un uomo. Se gli guardi le mani ti accorgi che non le tiene quasi mai a riposo, e che il suo sguardo è vigile, sempre sulla difensiva, pronto a schivare eventuali attacchi della quotidianità. Puoi anche seguirlo nei suoi innumerevoli giri che compie mentre affronta tante strade diverse, anche se alla fine frequenta sempre i medesimi luoghi, ed accorgerti poco per volta che la sua evidente insicurezza sembra contrarsi o distendersi proprio a seconda dei mutamenti che sopraggiungono nei suoi itinerari.
            Qualche volta entra dentro un noto caffè, Mario, un affollato locale del centro: là dentro si fa accompagnare sempre da una certa signora; normalmente loro due si siedono, si lasciano servire del tè oppure degli aperitivi, e parlano in genere delle proprie difficoltà, e di quello che forse per ognuno di loro sarebbe più giusto da fare, anche se poi generalmente mai niente cambia nei comportamenti che hanno adottato in funzione di tutto il resto che li circonda. Quando escono da quel luogo comunque, appaiono sempre abbastanza soddisfatti, anche se è evidente come non siano riusciti una volta di più a prendere alcuna decisione importante.
            Mentre passeggiano in attesa dell’ora di rientrare, lei certe volte gli dice: Mario, dobbiamo essere maggiormente realisti, comprendere che le cose sono in una certa maniera, e con tutto l’impegno che possiamo impiegarci, non riusciremo certo noi a farle cambiare. Lui scuote la testa, non la guarda neppure, dice soltanto che non è proprio certo con questo spirito che si possono affrontare le avversità. Poi però riconosce che lei forse ha ragione, e che probabilmente è giusto essere più concreti e guardare tutto con maggiore obiettivo distacco.
            A lui piace spingersi a volte fino alla sponda sinistra del fiume, restare appoggiato alla spalletta lungo la strada per osservare l’acqua che scorre sotto il suo ponte preferito, illuminato alla sera da luci calde e giallastre sul fiume grigio e scuro come l’inchiostro, per poi ritornarsene sui suoi passi rinfrancato da quelle immagini così rassicuranti e complete. A Mario piace la solitudine, sostanzialmente, anche se in certi casi si ferma a parlare con qualcuno che passeggia proprio come lui, senza avere mai una meta precisa.
            Non tutto è perduto, dice Mario allora con un sorriso: possiamo ancora impegnarci e tenere in pugno le cose; l’altro non gli risponde, non c’è alcuna necessità di parole a fronte di quei pensieri che vagano dentro la testa. E’ sufficiente lasciarsi un saluto, un gesto qualsiasi che definisca una stessa veduta, forse addirittura una momentanea complicità, quasi una stessa maniera di immaginare come saranno le cose domani, sempre che avvenga un cambiamento apprezzabile.
            Rientrare è sempre un dolore: qualcosa si è concluso ormai anche stasera, pensa Mario; però ho molte speranze per la giornata di domani, riflette; qualcosa dovrà pur accadere, e certamente saprò tener testa a quanto si presenterà come nuovo, insieme a tutto ciò che avrà il noto sapore di vecchio. Non ci sarà nemmeno troppo da preoccuparsi, dice tra sé: tutto quanto potrà mai avvenire, sarà sempre qualcosa che avevo già immaginato, qualcosa di cui ero quasi in attesa, proprio come se ogni possibile variazione possa soltanto restare all’interno di un quadro finito, completo di ogni particolare, appeso al muro, incorniciato da tutte le nostre insignificanti parole.


            Bruno Magnolfi    

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